Quello tra Economia e Ambiente è un rapporto difficile, di interdipendenza quasi mai positiva.
La teoria economica sta all’Ambiente come un innamorato geloso sta ad un partner imprevedibile, ovvero, inqualificabile.La relativa disaffezione, il distacco, l’incuranza della teoria economica verso l’ambiente deriva anche dal fatto che quest’ultimo sia una risorsa scarsa, limitata nel tempo e nello spazio, ovvero mutevole e, pertanto, sfuggente – al contrario di quanto ipotizzato da tutti quei modelli di equilibrio economico che contemplano l’illimitata disponibilità delle risorse naturali. E, d’altro canto, la teoria economica privilegia l’analisi di sistemi in cui hanno un peso schiacciante l’equilibrio di mercato e i valori di scambio. La teoria economica, identificando lo sviluppo con l’accrescimento di disponibilità di beni materiali ed ignorando le implicazioni dei processi di produzione e di consumo, ha avuto, rispetto all’ambiente, per lungo, per troppo tempo, carattere utilitaristico: l’ambiente è un insieme di risorse naturali, necessarie e funzionali alla realizzazione del processo economico. A questo si aggiungano i vecchi e i nuovi fattori di “esternalità”, le nuove interazioni “non di mercato”, che non sono sempre ben contenute dalle leggi e dalle politiche che si avvicendano - tanto da strutturare, nell’immaginario collettivo, una pericolosa percezione di quietismo, indolenza e assenteismo delle istituzioni.
La crescita senza limiti - misurata mediante il Prodotto Interno Lordo - è inversamente proporzionale alla buona salute dell’ambiente, poiché, aumenta la prima e diminuisce la seconda, attraverso lo sfruttamento - spesso scellerato - del territorio, la desertificazione, ecc… Tutto ciò ha quale effetto, esosi costi sociali. Allo scopo di orientare l’attenzione su alcuni punti nodali del difficile rapporto tra Economia e Ambiente e su possibili soluzioni, con l’auspicio di rendere chiaro quanto la libertà e l’opportunità delle generazioni future di esercitare scelte siano condizionate dall’irreversibilità dei danni ambientali, il presente contributo s’incentra su un’intervista ad un eccellente pensatore - i cui interessi di ricerca riguardano prevalentemente l’economia del lavoro in una prospettiva teorica post-keynesiana, l’istituzionalismo e la teoria monetaria della produzione – che ha collaborato alla stesura della Legge Regionale pugliese di contrasto all’economia sommersa, ricevendo, nel 2008, l’European Regional Champions Awards. Si tratta del Professor Guglielmo Forges Davanzati - docente di Economia Politica presso l’Università del Salento, dove insegna Economia Politica e Labour Economics.
Qual è la posizione della teoria economica quando interessi sociali e interessi privati divergono e a quali valori etici essa si ispira per determinare giudizi di valore?
“In premessa, va rilevato che la crisi ambientale è stata oggetto di ampio dibattito nel corso degli ultimi anni, con una particolare accelerazione nel corso del 2019, dibattito segnato dalla contrapposizione fra negazionisti (ovvero coloro che ritengono che il cambiamento climatico non sia in atto, a partire dal Presidente Trump) e sostenitori della visione per la quale la crisi climatica è conseguenza pressoché inevitabile delle trasformazioni del modo di produzione capitalistico. L’Economia è una disciplina che orienta le decisioni politiche e che, per questo tramite, influisce in modo significativo sulle nostre condizioni di vita e di lavoro. Chiedersi di cosa si occupano gli economisti, in Italia e non solo, non è dunque una domanda oziosa.Il punto di partenza è dato dalla constatazione che questo non è un periodo particolarmente fecondo di nuove idee. È quello che Alessandro Roncaglia, nel suo testo La ricchezza delle idee, ha definito l’età della disgregazione. La ricerca in Economia, non solo in Italia, è sempre più frammentata e specialistica, e soprattutto sempre più ‘autistica’: gli economisti tendono a dialogare esclusivamente fra loro, spesso coprendo di sofisticati tecnicismi o montagne di matematica pure banalità, tautologie o, nella migliore delle ipotesi, teorie che non “spiegano” nulla, né hanno l’ambizione di farlo.
I meccanismi che presiedono al finanziamento e alla valutazione, almeno nel campo delle scienze sociali (e, ancor più, in Economia) sono intrinsecamente normativi e sono normativi nel senso che non possono che assecondare gli interessi economici dominanti – o quantomeno non possono contrastarli. È ciò che si può definire un effetto di cattura degli economisti da parte di gruppi di interesse che esprimono una domanda politica di idee economiche. Occorre rilevare che tale domanda non necessariamente implica che l’economista debba legittimare politiche economiche che avvantaggiano alcuni gruppi a danno di altri, potendo, per contro, incentivare – tramite la distribuzione di finanziamenti e la valutazione della ricerca – il proliferare di studi che eliminano qualunque connotazione politica dal discorso economico. È ciò che viene definito l’imperialismo dell’economia.”
In una prospettiva di utilità sociale complessiva, scegliere come utilizzare e allocare le risorse naturali quanto incide sull’equità e sull’efficienza della società?
“Inquadrerei la questione nei seguenti termini. Esiste di fatto un nesso fra la nuova configurazione che il capitalismo contemporaneo ha assunto (ci si riferisce qui, in particolare, alla cosiddetta finanziarizzazione, ovvero alla crescita dell’incidenza dei movimenti speculativi di capitale su scala globale) e la crisi climatica. È un nesso che passa attraverso diversi canali, schematicamente riconducibili ai seguenti:
- come certificato da un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Climate Change del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici di Pisa, la crisi climatica, per gli effetti che genera sulla produzione agricola e industriale, ha effetti sul sistema bancario, potendo determinare fallimenti bancari, come conseguenza della maggiore insolvenza delle imprese. E innescando, a catena, calo degli investimenti e del tasso di crescita. Si stima anche che l’aumento dei fallimenti bancari potrebbe spingere i governi ad aumentare la spesa pubblica per ‘salvataggi’ bancari con conseguente aumento del debito pubblico. Occorre osservare che gli effetti previsti non sono distribuiti uniformemente su scala OCSE. I processi definiti di finanziarizzazione si associano a crescente concentrazione dei capitali nelle aree più avanzate dello sviluppo capitalistico: per stare al caso europeo, ci si riferisce al crescente divario – in termini di tasso di crescita – fra la Germania ai suoi Paesi satelliti e i Paesi della sponda mediterranea, Italia inclusa. Il caso ILVA appare emblematico in tal senso: il recente annuncio dell’amministratore delegato di ArcelorMittal, Lucia Morselli, di avviare lo spegnimento degli altoforni a partire dal 13 dicembre è un segnale del fatto che l’operazione di acquisto dell’azienda è stata fondamentalmente dettata da obiettivi di acquisizione di profitto di breve periodo, secondo strategie spesso messe in atto da grandi multinazionali e definibili di ‘mordi e fuggi’: comprare un’impresa, trarne guadagni nel più breve tempo possibile e cederla al miglior offerente, sia esso anche eventualmente lo Stato. Più in generale, si può osservare che i processi di polarizzazione si associano non solo al calo del tasso di crescita delle aree periferiche (si pensi al Mezzogiorno) ma anche e soprattutto alla riduzione del loro potere di negoziazione politica, dando luogo a una spirale viziosa per la quale la crescita della produzione industriale nelle aree centrali dà luogo a maggiore occupazione in quelle aree e a maggiore produzione di inquinamento da parte delle imprese lì collocate, ma, al tempo stesso, dà anche luogo al trasferimento del danno ambientale alle aree economicamente più deboli.
- La finanziarizzazione ha molteplici effetti sui cambiamenti climatici, a partire dal fatto che essa si associa all’aumento del potere politico dei percettori di rendite finanziarie. Si tratta di quella che è definibile la moderna ‘classe agiata’, che trae profitti da attività speculative di breve periodo – inclusa la speculazione sui titoli di Stato e l’acquisizione di imprese per obiettivi di pura speculazione finanziaria - e che condiziona le politiche economiche dei governi. In quanto creditori dello Stato, questi soggetti non sono facilmente tassabili e, in più, in quanto creditori dello Stato possono orientare le politiche economiche verso obiettivi che in via diretta o indiretta ne mantengano la posizione di privilegio. Queste politiche si muovono nella direzione di una continua riduzione della spesa pubblica nei tradizionali settori del Welfare State (istruzione e sanità, in primo luogo) e che, per conseguenza, pongono le famiglie, soprattutto quelle con bassi redditi, in condizioni di maggiore vulnerabilità rispetto ai danni prodotti dall’inquinamento ambientale. Si pensi, a riguardo, all’esodo di pazienti meridionali costretti a curarsi in ospedali del Nord o di altre aree d’Europa (si stima, a riguardo, che negli ultimi anni sono partiti dal Sud, per curarsi in ospedali del Nord, circa il 40% dei pazienti residenti in Calabria e quasi il 20% di quelli residenti in Campania). Si pensi anche al caso ILVA, emblematico della difficile compatibilità fra tutela del lavoro e tutela dell’ambiente e della salute, a fronte della sostanziale inerzia del Governo e della propensione da parte dei gruppi multinazionali – in questo caso AcelorMittal – a praticare politiche di ‘hit and run’, ovvero di acquisizione di imprese per fini speculativi di breve termine.
Occorre rilevare che non si è qui in presenza di un complotto, ovvero non si è in presenza di un unico decisore che, su scala globale, orienta le politiche economiche. Si è in presenza, piuttosto, di una pluralità di centri decisionali che, anche attraverso attività di lobbying, condizionano le politiche economiche dei singoli Governi.”
L’inquinamento è risolvibile mediante gli strumenti della politica economica?
“Per rispondere, occorre un chiarimento preliminare. Una essenziale caratteristica associata alla finanziarizzazione è il cosiddetto breveperiodismo, ovvero la propensione a cercare di ottenere profitti nel più breve tempo possibile. Per definizione, il perseguimento di obiettivi di breve periodo è in contrasto con l’obiettivo di salvaguardia dell’ambiente e dell’attuazione di politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. E d’altra parte va rilevato che il tentativo messo in atto con aggregazioni spontanee da piccoli gruppi è destinato a risolversi in una rivendicazione per alcuni aspetti condivisibile, ma con esiti pressoché insignificanti ai fini dell’attuazione di politiche di contrasto al cambiamento climatico. Il problema nasce dal fatto che le opposizioni alle politiche che accentuano il danno ambientale si muovono su scala locale (e spesso senza competenze adeguate per motivare con adeguato sostegno scientifico la loro opposizione), mentre occorrerebbe un’azione coordinata. Può essere sufficiente a riguardo, considerare che le ultime stime disponibili indicano che gli Stati Uniti producono il maggior tasso di inquinamento al mondo (circa il 22%), a fronte del 18% pro-capite della Cina.”
Considerati i suoi effetti distorsivi sulle entrate fiscali e sulla spesa pubblica, l’inquinamento è una forma di pressione fiscale?
“Tecnicamente, l’inquinamento configura un caso di esternalità negativa e si ha quando la produzione o il consumo di un agente economico influenza, con segno positivo o negativo, il benessere di un altro soggetto, a fronte dell’impossibilità e della non sussistenza delle condizioni che rendono possibile compensare chi ne è danneggiato il danno generato. Occorre rilevare che la crisi climatica segnala una fondamentale contraddizione fra una modalità di sviluppo che necessita di un continuo approvvigionamento di risorse naturali e politiche che assecondano questo modello di crescita (che, nella visione dominante, non deve incontrare limiti) e che non producono altro esito se non la distruzione della natura.”
Quale tipologia di tassazione potrebbe garantire un ambiente più sano con la diminuzione dei costi distorsivi generati dal sistema fiscale?
“Un possibile rimedio alla crisi ambientale – verosimilmente più efficace dell’uso della leva fiscale per gli impatti sull’efficienza di sistema - consiste nell’aumento della spesa pubblica per R&D (Research and Development) secondo un programma che viene definito di Stato innovatore di prima istanza. Il fatto che alcune imprese, in alcuni particolari segmenti del mercato del lavoro, trovino (o denuncino) difficoltà nel reperire manodopera con il livello e la qualità della formazione richiesta non implica che l’intera disoccupazione giovanile in Italia (superiore al 60% in alcune regioni del Sud) dipenda dal mismatch fra competenze offerte e competenze richieste. La teoria del mismatch fa propria una visione della formazione economicistica, funzionalista e di breve periodo: il sistema formativo – stando a questa visione – deve essere sottostare a vincoli propriamente economici. O vincoli relativi al bilancio pubblico, nel qual caso è chiamato a fare a meno di risorse per contribuire a generare risparmi dello Stato (come è accaduto con la straordinaria contrazione dei finanziamenti alle Università nell’ultimo decennio) o vincoli posti nel mercato del lavoro, nel qual caso è chiamato a ‘produrre’ laureati occupabili.
L’economia italiana, per contro, avrebbe bisogno – nei limiti dello spazio fiscale disponibile – di investimenti pubblici in ricerca, che attivino un percorso potenzialmente virtuoso di crescita trainata dalla domanda interna e da innovazioni. Si tratterebbe di una misura fattibile ed efficace per l’obiettivo di rilanciare la crescita economica e ridurre la disoccupazione giovanile. Un programma di lungo periodo che preveda un intervento pubblico finalizzato a promuovere innovazioni:
- accresce l’occupazione qualificata e non qualificata;
- tiene alta la domanda interna e la produttività del lavoro;
- modera la spirale deflazionistica, con effetti positivi sul tasso di crescita.
Va tuttavia riconosciuto che l’attitudine breveperiodista, finalizzata all’immediata acquisizione di consenso, dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni, combinata con la convinzione della superiore efficienza del privato, rende difficile l’attuazione di questa misura.Occorre chiarire che la realizzazione di queste misure richiede due pre-condizioni: il superamento del breveperiodismo e la necessità del coordinamento delle politiche fiscali.”
Anna Rita Cancelli, docente,.Laurea in Pedagogia conseguita presso Università del Salento con voto 110/110 e Lode;Master universitario di I livello in “Legislazione Scolastica e Management della Negoziazione” conseguito presso Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Perugia.Perfezionamento in “Storia della Filosofia” conseguito presso Università del Salento.Perfezionamento in “Psicologia di Comunità e Empowerment delle donne. Le identità di genere nell’epoca post-moderna” conseguito presso Università del Salento.Specializzazione biennale polivalente per le attività di sostegno conseguita presso Università del Salento.Partecipazione al corso della Provincia di Lecce per “Esperto dell’approccio integrato ai minori a rischio di devianze” nell’anno 1997.Operazione matematica preferita: la sottrazione.