L’Education at Glance 2019, il nuovo rapporto sull’istruzione stilato dall’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, dichiara che i nostri giovani sono meno preparati dei colleghi stranieri, pur essendo maggiormente oberati di compiti da svolgere una volta ritornati a casa.
Secondo il rapporto, che si riporta ai risultati dei test “PISA” (Programme for international student assessment), realizzati ogni tre anni per misurare la competenza di lettura nei quindicenni, gran parte dei nostri giovani non è in grado di riconoscere il punto focale di un testo né di comprenderne le relazioni e il significato.Un quarto dei nostri giovani arriva a malapena al livello 2 mentre la scala Ocse arriva al livello 6 che consiste nella capacità di chi legge di fare confronti e contrapposizioni, integrando le informazioni raccolte in più testi. Soltanto lo 0,6% dei quindicenni italiani raggiunge un livello maggiore di preparazione contro l’1,1% della media Ocse.Applicando il parametro “Riflettere e valutare”, si chiede a chi legge di ipotizzare o valutare in modo critico un testo complesso, applicando conoscenze elaborate e raccolte al di fuori del testo che sta leggendo. Ebbene il 5,1% degli italiani arriva al livello 5, mentre la media Ocse è del 7,2%.I ragazzi italiani di oggi, insomma, non sono granché diversi da quelli esaminati 15 anni fa: nel 2003 la media Ocse era di 494 e noi stavamo fermi a 476. Eravamo come oggi ultimi nella fila: in matematica Hong Kong batteva l’Italia 550 a 466, la Finlandia stravinceva in lettura 543 a 476 e in scienze 563 a 486. La Corea del Sud ci surclassava 550 a 489 nella capacità di risolvere problemi.
Eppure l’Ocse ha dichiarato che i quindicenni italiani trascorrono sui libri più o meno nove ore a settimana contro una media di circa 4,9 ore.Dunque la nostra scuola pur con una incidenza maggiore nella vita degli alunni per via del carico di lavoro da svolgere a casa si rivela carente per i risultati di ciascuno.Perché dunque nei test gli stranieri dimostrano di avere maggiori competenze rispetto ai nostri ragazzi? Naturalmente c’è qualcosa che non torna e con molta probabilità la falla del sistema è qualcosa che si trova a monte, e cioè nel metodo.Se si analizza nel dettaglio il metodo educativo italiano ci si rende conto che esso continua ad essere lo stesso da più di 60 anni: le convenzionali lezioni in classe con metodi obsoleti, gli infiniti compiti da svolgere a casa e quasi nessuna attività rivolta alla crescita personale del singolo alunno.In effetti, appare pacifico che le metodologie odierne presentino una forte somiglianza rispetto a quelle adoperate dai nostri genitori e addirittura dai nostri nonni: la scuola italiana concentra ancora esageratamente la sua attenzione sul testo, sul nozionismo e su una preparazione pressoché teorica. E ciò porta il ragazzo italiano a vivere la propria esperienza formativa, già di per sé asettica, nella più totale solitudine e talvolta frustrazione.Cambiare il sistema educativo significherebbe intervenire sensibilmente sulle nostre radici e rivoluzionare una sedimentata tradizione culturale.I nostri ragazzi sono sempre più distratti dalla tecnologia e dai nuovi mezzi di comunicazione: il libro, inteso come unico e solo strumento di cultura, ha oggi perso il suo fascino e esaurito il suo potere di divulgazione del sapere.E’ necessario quindi rompere l’inerzia del sistema con la sperimentazione di azioni e pratiche che scardinino antichi modelli.Bene le riforme strutturali del sistema scolastico, ma la chiave di volta sta nell’introduzione di pratiche educative innovative: ripensare l’organizzazione della didattica, del tempo e dello spazio scolastico per arrivare a ripensare lo stesso sistema scuola.
Sperimentare soluzioni didattiche innovative può aiutare ad affrontare alcuni dei problemi di apprendimento che si creano nelle classi, come, per esempio, la difficoltà degli studenti a “seguire” le lezioni tradizionali, a mantenere un impegno prolungato, ad approfondire i temi, a percepire la significatività dei contenuti didattici, e la dimenticanza già nel breve periodo degli apprendimenti che sembravano essere stati acquisiti a una prima valutazione.Lavorare in tal senso implica per il docente una consistente ristrutturazione dei propri presupposti concettuali sull’apprendimento e sull’insegnamento. “Trasformare il modello trasmissivo della scuola” e “Promuovere l’innovazione” sono alcuni degli “orizzonti” d’azione che animano oggi il Movimento delle Avanguardie Educative. Un progetto che nasce dall’iniziativa di Indire – istituto che da 90 anni accompagna l’evoluzione del sistema scolastico italiano – con il supporto di scuole capofila che hanno messo in pratica una specifica esperienza innovativa.Nel resto d’Europa, in particolare in Finlandia, il sistema scolastico mette al centro l’individuo e la comunità di riferimento, e fonda l’insegnamento sulle curiosità e sui bisogni di ogni singolo studente in quella particolare comunità aperta al mondo. Inoltre, gli insegnanti dell’infanzia e delle prime classi della scuola elementare sono quelli più formati perché migliore è la loro educazione, migliore sarà l’apprendimento di questi bambini e la loro formazione futura.In Italia dobbiamo aprirci a nuove-vecchie pratiche rifondando la scuola sui valori, ricostruendo la fiducia, esplicitando la visione della nostra scuola per questo nuovo secolo. Continuare a imparare gli uni dagli altri.
L’Italia ha molto da imparare dalla Finlandia, e questa ha imparato molto da noi in termini pedagogici: le teorie di Maria Montessori e il sistema preventivo di Don Bosco, l’integrazione degli studenti con disabilità, sono solo un esempio.In Finlandia fin dalle prime classi l’intento è quello di risvegliare e mantenere vivo l’interesse per la ricerca, l’apprendimento e la creatività. In particolare, i primi sei anni della scuola dell’obbligo si concentrano non tanto sulle materie, ma sulle domande dei bambini e delle bambine.Da qualche tempo nel lessico educativo italiano troviamo iniziative pilota di innovazione didattica e, fortunatamente, usate da insegnanti quando intendono designare un approccio didattico caratterizzato da elementi di novità rispetto alla lezione tradizionale: opportunità legate alle ICT e ai linguaggi digitali per supportare nuovi modi di insegnare, apprendere e valutare; creare nuovi spazi per l’apprendimento con il “Debate”, il “TEAL”, lo “Spaced learning”, l’“ICT lab”, la “Didattica per scenari”; riorganizzare il tempo del fare scuola con la “Compattazione del calendario scolastico” e la “Flipped classroom”; riconnettere i saperi della scuola e i saperi della società della conoscenza mettendo a disposizione contenuti didattici digitali che sappiano “parlare” agli studenti con linguaggi multimediali in grado di veicolare contenuti che possono andare oltre il testo scritto (simulazioni, giochi educativi, app, ecc.; si veda l’idea “Integrazione CDD / Libri di testo”); Investire sul “capitale umano” ripensando i rapporti (dentro/fuori, insegnamento frontale/apprendimento tra pari, scuola/azienda, ecc.) come il civic center, il service learning.
Alle scuole viene chiesto di proporre esperienze di innovazione così da individuare l’innovazione, connotarla e declinarla e renderla concretamente praticabile nella sua unità. Tutto al fine di sostenere un cambiamento che sia efficace ed efficiente per l’innalzamento dei livelli di apprendimento e il buon funzionamento del contesto scolastico.Bisogna portare dunque a sistema l’innovazione perché, come direbbe William Pollard, “l’apprendimento e l’innovazione vanno mano nella mano. L’arroganza del successo è di pensare che ciò che hai fatto ieri sarà sufficiente per domani”.
Leandro Verrengia, di Caserta. Attualmente Docente di materie letterarie nella scuola secondaria di secondo grado. Ha un'esperienza ultra ventennale nella scuola, prima come docente scuola dell'infanzia, poi primaria e secondaria di primo grado. Ha conseguito la Laurea in Filosofia presso Università degli studi di Napoli "Federico II" con tesi in filosofia contemporanea. Grande appassionato di pedagogia e psicologia, è iscritto all'albo dei Pedagogisti clinici. Ha ricoperto diversi incarichi nella scuola: funzione strumentale al PTOF, collaboratore del dirigente scolastico, componente Comitato di valutazione e del NIV. In continua formazione e aggiornamento con master di I e II livello sulla gestione e la governance della scuola.