Che cos’è la famiglia? Una breve panoramica storica e sociologica

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L’etimologia del sostantivo femminile «famiglia» deriva dal latino famĭlia, che, a sua volta deriva da famŭlus «servitore, domestico». È una voce italica, forse un prestito osco. Il suo primo significato è «l’insieme degli schiavi e dei servi viventi sotto uno stesso tetto» e solo successivamente la «famiglia nel significato oggi più comune». 

In senso ampio, il lemma «famiglia», indica una comunità umana, diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche, ma in genere formata da persone legate fra loro da un rapporto di convivenza, di parentela, di affinità, che costituisce – ci ricorda il vocabolario on line Treccani  (cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/famiglia/) l’«elemento fondamentale di ogni società, essendo essa finalizzata, nei suoi processi e nelle sue relazioni, alla perpetuazione della specie mediante la riproduzione (con significato simile, il termine è spesso esteso anche al mondo animale, ad esempio: una famiglia di foche, di rondini, ecc.)». La storiografia degli ultimi decenni ha allargato i propri ambiti di interessi ed in modo particolare la famiglia è un tema della demografia storica che più di altri è stato fecondamente indagato, tout court, dal mondo della ricerca. Il professore Paolo Macry, autore di numerosi lavori sulla società italiana nei secoli XVIII e XIX, fra i quali «Ottocento. Famiglia, élites e patrimoni a Napoli» (Einaudi, 1988) con acume osserva che la famiglia è un «istituto fra i più universalmente diffusi, è tuttavia un fenomeno storico e, come tale, assai difforme nel tempo e nello spazio. Ogni tentativo di riassumere la sua complessa realtà in un modello unico appare frutto di utopie etnocentriche» (cfr. P. Macry, La società contemporanea. Una introduzione storica, il Mulino, 1995, pagg. 105-106). 

«La famiglia è un prodotto culturale, la sua qualità è relativa. Non è detto che essa sia fondata - come accade prevalentemente nell’esperienza europea – sull’unione socialmente riconosciuta di un uomo di una donna, la monogamia, la residenza virilocale, un certo riconoscimento della filiazione e della trasmissione del nome da parte dell'uomo, l'autorità maschile» annota nella capitale voce «Famiglia» dell’Enciclopedia Einaudi (vol. VI, p. 3) l’antropologa francese Françoise Héritier (1933-2017), emerita studiosa che occupò al Collège de France la cattedra di Claude Lévi-Strauss (1908-2009). Nell’antica Ellade il termine oîkos o oikìa indica altre la casa, la famiglia, appunto, intesa come «casato». Nella società omerica la famiglia comprendeva, oltre al padre che nera a capo, alla moglie di questi e ai loro figli, anche i servi o gli schiavi che vivevano nella casa. Nella più antica Roma la pluralità di significati del termine familia esprime, essenzialmente, la concezione della potestà del padre (paterfamilias) su tutti i sottoposti alla sua autorità, dai membri della famiglia naturale fino agli schiavi nonché sul patrimonio. Tale concetto sembra riflettere la funzione più antica della familia come gruppo costituito sin origine per ragioni di difesa, anteriormente alla costituzione della civitas su base gentilizia (la gens) o agnatizia (l’agnatio che nel diritto romano indicava la parentela civile contrapposta a quella di sangue detta cognatio). (Cfr. Eva Cantarella, Come uccidere il padre. Genitori e figli da Roma a oggi, Feltrinelli, 2017). 

C'è, inoltre, una visione tradizionale della famiglia ai tempi dell’Europa preindustriale che ritiene che i matrimoni, monogami, fossero stabili e prolifici, che le famiglie fossero numerose. Secondo questo senso assai comune (sic!), nelle famiglie patriarcali vigeva una rigida gerarchia, definita in base all'età, al sesso, all’anzianità: gli anziani contavano più dei giovani, gli uomini più delle donne, i primogeniti più degli altri figli... Questa immagine granitica della famiglia dell’Europa preindustriale che, ahimè, è ancora molto diffusa, gli studiosi Marzio Barbagli e David I. Kertzer nella loro Storia della famiglia in Europa. Dal Cinquecento alla Rivoluzione francese hanno saggiamente e scientificamente dimostrato quanto sia lontana dalla realtà. Leggendo questo libro siamo sopraffatti da vere e proprie: i divorzi erano sì rari ma c’erano altri modi per abbandonare la moglie; le donne non si sposavano sempre così presto e non partorivano un numero spropositato di bambini, che peraltro non morivano ovunque in tenera età e in così gran numero; i figli, amati come la sensibilità di oggi richiede, avevano più di un'occasione per esercitare la propria volontà. 

Il quadro a tinte forti della «famiglia» (influenzato anche dalle ideologie evoluzionistiche) rigidamente formalizzato e fissato va rivisto come magistralmente ha rilevato lo storico americano Lutz K. Berkner: il tema «famiglia» va trattato, proprio a causa della sua variabilità strutturale e culturale, con estrema ed intelligente cura (cfr. Lutz K. Berkner, «La famiglia-ceppo e il ciclo di sviluppo della famiglia contadina» in Marzio Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, il Mulino 1984). Se nei primi decenni del Novecento l’«etica del dovere» era intimamente connessa alla «società patriarcale», impensabile la seconda senza la prima, come ad esempio è reso nelle pagine de Il conformista di Alberto Moravia, un esempio, forse letterariamente il migliore, di una certa parabola educativa. Oggi nella cosiddetta «società dell’incertezza» e/ o «liquida» (cfr. Zygmunt Baumann, La società dell’incertezza, Bologna, il Mulino, 1999 ed ancora Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002) emerge la «crisi del concetto di comunità. […] emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile […] mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono da un lato l’apparire a tutti costi, l’apparire come valore e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo». La parabola dell’arretramento delle responsabilità di padri e madri è «clinicamente» affrescata nel breve ma intenso saggio di Massimo Ammaniti, La famiglia adolescente, (Laterza, 2015): una parabola che segna e delinea i nostri orizzonti sociali, educativi, culturali. Una (ri-)lettura a cui si rinvia. Le forme sociali e politiche, le idee e gli «istituti» vanni e vengono: quello che viviamo non è un approdo finale ma solo un «momento», confuso, della grande Storia.  

Pietro Salvatore Reina, docente di religione presso l'Istituto Comprensivo Merano I. Ha conseguito il titolo di Magistero in Scienze Religiose presso l'ISSR «San Luca» di Catania. Laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Catania. Membro del Direttivo della «Società Dante Alighieri»-Comitato di Bolzano. Autore di articoli e recensioni (Stilos) e di tre saggi (Tre donne alla ricerca della verità: Elsa Morante, un angelo amato di penna; Lalla Romano e Susanna Tamaro, l'inquieta via verso la luce; Pier Vittorio Tondelli, un tessitore di parole intrecciate dalla grazia e dalla bellezza) nel volume 5° dell'opera La letteratura e il sacro (a cura di Francesco D. Tosto), Bastogi, Roma, 2017 (Primo Premio «Tulliola Renato Filippelli»). Co-autore con il dirigente scolastico Luigi Martano del saggio Dentro o Fuori. Bullismo - Cyber, Edizioni Circolo Virtuoso, 2017.

 

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