INGERENZA? LA RELAZIONE SCUOLA-FAMIGLIA: “ALLEANZA EDUCATIVA” O RISCHIO

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Oggi nuove responsabilità e nuove attese si affollano sui sistemi di istruzione europei e non solo: mai il livello di formazione che le società attendono dalla scuola è stato così alto.

Diventa decisivo il credito iniziale di “capitale culturale” (valori, stili di comunicazione, schemi di organizzazione): se il bambino ha già familiarità con questi modi di pensare e di comportarsi, quando entra nella scuola ha più opportunità di successo; i risultati dipendono anche, con notevole vantaggio di costi/benefici, della famiglia stessa. Il coinvolgimento di quest’ultima è perciò visto ormai comunemente come fattore importante, se non indispensabile, per migliorare i livelli di formazione dei giovani. E tuttavia, la partecipazione dei genitori a scuola pone molti interrogativi. Quali sono i legittimi diritti e doveri dei genitori in materia di educazione? Qual è il loro potere o il loro valore di interferenza rispetto alla professionalità di chi opera nel sistema scolastico? Partecipazione, cooperazione o potere parentale? Qual è la giusta misura di una collaborazione che non ponga in disequilibrio il sistema educativo? Nel momento in cui il bambino entra nella scuola avviene tra genitori e insegnanti un primo confronto sull’idea di bambino.

Al momento dell’instaurarsi del rapporto tra i genitori degli alunni e i loro insegnanti si iniziano a delineare delle aspettative reciproche. Entrambi hanno le loro regole, i loro obiettivi, i loro bisogni e desideri sull’evoluzione del bambino-discente che rendono difficile la loro integrazione. Il terreno di incontro/scontro tra scuola e famiglia, quindi, diventa sempre più scivoloso, sdrucciolevole ed evanescente. I confini diventano così indistinti e si assiste a fenomeni di confluenza. L’equilibrio tra scuola e famiglia inizia a nascere nel momento in cui ci si domanda come collaborare efficacemente insieme. Quando si comincia ad essere consapevoli della presenza di alcuni compiti che appartengono alla scuola ed altri alla famiglia: le competenze didattiche, disciplinari e di gestione della classe sono della scuola, le competenze genitoriali relative alla conoscenza del proprio figlio vanno riconosciute alla famiglia. In questo modo si definisce un confine, che viene consolidato nel momento in cui si riconoscono le competenze e le responsabilità dell’altro ma, allo stesso tempo, si mette in atto l’azione fondamentale di definire un terreno condiviso nel quale collaborare per un obiettivo comune: il benessere del bambino.

E’ infatti nello spazio della relazione che la scuola e la famiglia possono co-esistere e collaborare responsabilmente per la formazione del cittadino. Il rapporto tra famiglie e scuola va costruito giorno dopo giorno attraverso il confronto, il dialogo e la negoziazione, nella convinzione che per ottenere il successo formativo dell’alunno sia necessaria la collaborazione di entrambe le parti e che ognuna, grazie alla propria specificità, è fondamentale nello sviluppo globale del futuro cittadino. La scuola e gli insegnanti si confermano, perciò, un ruolo essenziale nella formazione delle future generazioni: si creano pertanto inevitabili aspettative della famiglia nei confronti della scuola e viceversa degli insegnanti nei confronti di alunni e famiglie. Spesso le due ottiche sono molto differenti e genitori e insegnanti non riescono a trovare forme di “alleanza educativa”. Gli alunni, però, non possono essere educati a settori ma in modo globale, quindi tra insegnanti e genitori deve svilupparsi un vero patto che consenta ad entrambi di conoscere i percorsi a scuola e a casa dei ragazzi, tanto da poter costruire insieme il loro futuro. Le intrusioni nel lavoro degli insegnanti possono evidenziare una certa sfiducia nella scuola da parte della famiglia e la sua difficoltà di cambiare e provare ad integrarsi ad essa. Quando uno dei due microsistemi, rappresentati da un dato team docente e una data famiglia, non trovano accordo per 

iniziare un lavoro di collaborazione, i motivi possono essere tanti, tutti spesso riducibili alle resistenze dell’uno e dell’altro ad aprirsi ad una eventuale modifica delle proprie regole strutturali. Cosa si aspetta il genitore dalla scuola? Attualmente le famiglie attribuiscono alla scuola un mandato più complesso della semplice richiesta di una istruzione adeguata e di preparazione al mondo del lavoro per i propri figli. Un’attesa di questo tipo rischia di andare delusa perché la scuola non è sempre in grado di corrispondere positivamente ad essa. Succede allora che la comunicazione scuola-famiglia risulti spesso bloccata e sulla difensiva reciproca. Mentre le attese degli insegnanti verso la partecipazione dei genitori alla vita scolastica possono essere varie. L’insegnante ha intanto l’aspettativa di essere accettato, soprattutto per i suoi metodi di insegnamento. Si attende di poter essere, un punto di riferimento costante per le famiglie e di poter gestire i rapporti con queste in modo sereno e con un buon livello di definizione e accettazione degli obiettivi comuni, che portano entrambi ad orientare il percorso educativo dello studente. Eventuali disaccordi tra i due microsistemi (team docente-famiglia) determinano piccole questioni irrisolte.

Nei casi in cui il disaccordo non consente la collaborazione, le due parti parti potrebbero seguire insieme un percorso di mediazione, finalizzato ed evitare loro la creazione di meccanismi di strumentalizzazione e colpevolizzazione, perché non ci siano né vincitori né vinti, ma protagonisti alla pari che superano le controversie attraverso il dialogo e il confronto, l’osservazione e la valutazione delle emozioni. Potrebbero cercare strategie per favorire il buon proseguimento della vita della classe, anche attraverso corsi di formazione organizzati dalla stessa istituzione scolastica, in cui i genitori possono apprendere modalità di approccio non intrusivi al mondo della scuola e gli insegnanti possono acquisire nuove modalità di relazione e comunicazione assertiva, di gestione dei conflitti, ecc. A sostegno di tale orientamento, varie ricerche hanno dimostrato che la relazione scuola-famiglia è fondamentale per sostenere il processo di apprendimento del bambino e che una positiva relazione scuola-famiglia favorisce il benessere dei figli-alunni. Diventa importante investire sui contesti partecipati in quanto sentirsi parte costituisce la più efficace forma di prevenzione del disagio e di promozione sociale dei bambini e della famiglia. Essere, allora, coinvolti nella vita scolastica migliora il rendimento dei bambini? Non tutti ne sono convinti e negli Stati Uniti si discute dell’efficacia del parental involvement. Secondo recenti studi, condotti su vasta scala in diversi ambienti socio-culturali, emerge che non sempre un coinvolgimento appassionato dei genitori nella vita scolastica contribuisce a migliorare il rendimento, anzi può fare peggio.

Ciò che davvero sembra essere utile è semplicemente comunicare con i figli in modo corretto, discutere insieme le attività che svolgono in classe, trasmettere con entusiasmo il messaggio che la scuola ha un valore fondamentale e rafforzare nel tempo il concetto, rispettare il lavoro degli insegnanti e confrontarsi con loro con incontro e verifiche periodiche. Ma se non è detto che partecipando più attivamente e in modo coinvolgente nella vita scolastica dei nostri bambini riusciremo a migliorare il loro rendimento scolastico, di certo, se ci mostriamo partecipi e trasmettiamo loro il messaggio che la scuola è importante, se dimostriamo che non conta solo un bel voto, ma partecipare con rispetto e coinvolgimento alla vita scolastica probabilmente aiuteremo i bambini ad affrontare la vita scolastica con il giusto entusiasmo. Potremmo pensare ad un coinvolgimento positivo nella vita scolastica dei bambini in modo che questa nostra scelta sia produttiva e vantaggiosa per loro. Gli esperti d’oltreoceano, secondo il modello Epstein, consigliano alcune cose (che intellettualmente e professionalmente posso solo condividere) che certamente non possono che apportare vantaggi: -chiedendo loro come è andata a scuola: nella serena e costante comunicazione e dialogo i genitori possono prevenire o contrastare al nascere fenomeni di bullismo, di non-benessere a scuola che influisce poi sugli aspetti motivazionali dell’apprendimento; 

-manifestando sincero rispetto per l’insegnante e per il suo operato riconoscendone il valore culturale per la crescita personale e sociale; -evitando di criticare apertamente l’insegnante davanti al figlio-alunno, dando/restituendo al docente quell’autorevolezza necessaria per l’accettazione dell’insegnante come guida esterna; -limitando la partecipazione alle chat di gruppo sui social e non trasformarle in un luogo dove nasce e monta il pettegolezzo, dove si esprime la parte peggiore del parent involvement; -responsabilizzando il più possibile il bambino sulle proprie cose e sui compiti da fare a casa; -rendendosi disponibile nelle attività scolastiche che prevedono la partecipazione dei genitori, mettendo a disposizione le proprie abilità e competenze specifiche (una gita al museo, la realizzazione di materiali per una recita, aiuto nella cura dell’orto scolastico, ecc.); la partecipazione ai consigli interclasse dà una visione molto più ampia dell’ambiente in cui crescono i figli: esserci è un arricchimento, un modo per comprendere il punto di vista e le difficoltà degli insegnanti. E’ il posto adatto per proporre, per fare domande, per ottenere chiarimenti e per segnalare disagi. Essere rappresentante nella classe dei figli significa esserci, avere l’occasione di sperimentare un altro punto di vista, rivoluzionare i criteri di giudizio e, finalmente, costruire il dialogo. Oggi è la scuola, in nome di una costruttiva alleanza educativa tra scuola e famiglia, che chiede un maggior coinvolgimento e maggiore presenza dei genitori nella vita scolastica. Ma essere presenti non vuol dire diventare tuttologi ed onnipresenti: aver letto qualche articolo su internet su metodi d’insegnamento e pedagogia spicciola non trasforma un manager in un insegnante e non giustifica una presunzione che travalica i confini della semplice e costruttiva partecipazione alla vita scolastica. Il rapporto scuola-famiglia pertanto va costruito attraverso degli interventi mirati e consapevoli da parte dell’istituzione scolastica, in cui il sostegno reciproco, la partecipazione, il confronto sono importantissimi per la formazione sia personale che didattica dei ragazzi, nei quali vedere un punto di riferimento, avendo un unico modello da seguire sia a casa che a scuola. Per cui, un contrasto tra queste figure, invece, potrebbe innescare un “corto circuito” nel processo educativo. 

Il modello di Epstein (Partnership Model, 1986), che si ispira alla visione ecologica di Bronfenbrenner, parte dal presupposto che la scuola e la famiglia, considerate due sfere sovrapposte, partecipano allo sviluppo del bambino in base all’azione di tre forze (tempo, caratteristiche della famiglia, politica della scuola) ed hanno obiettivi e sfide comuni: il successo nell’apprendimento e un adulto ben formato. Epstein usa il termine “school-like families” skills in possesso di quei genitori che incoraggiano, supportano e sviluppano le competenze scolastiche dei loro figli, aiutano nei compiti, introducendo delle attività didattiche come parte della loro routine familiare. In questo modo insegnano ai loro figli a vedere le attività scolastiche come parte del ritmo normale e naturale della vita di ogni giorno. Per ottenere un successo formativo, Epstein ha individuato sei categorie all’interno delle quali raggruppare le azioni che la scuola e la famiglia possono mettere in atto: Parentering: si riferisce a tutte le azioni che i genitori devono mettere in atto per espletare gli obblighi genitoriali di cura, guida, salute per aiutare i figli a diventare studenti capaci: Communicating: da una parte la scuola comunica eventi, attività importanti con le linee educativo-didattiche stabilite; dall’altra la famiglia esprime la condizione di sviluppo del bambino e la sua storia educativa; Volunteering: coinvolgimento delle famiglie in attività di volontariato a scuola; Learning Home: coinvolgimento dei genitori nel processo di apprendimento mediante i compiti a casa, esperienze di apprendimento diversificate all’interno della comunità; Decision Making: i genitori sono invitati a partecipare al processo decisionale della scuola attraverso l’iscrizione ai diversi organi di partecipazione previsti; Collaborating with the Community: collaborazione con il territorio. 

Milena Venturi (02/10/1961) di Verona, docente nella scuola primaria e per scelta nel ruolo di sostegno con Specializzazione triennale. Laureata con 110 e lode in Scienze dell’Educazione-Esperto nei processi formativi. Conseguo il Master I livello in Legislazione scolastica e Negoziazione presso l’Università di Perugia ed il Master di I livello in Mediazione familiare presso l’Università di Verona. Ho seguito corsi di musicoterapia e psicomotricità. Ho svolto attività di arteterapia con il prof. Luigi Scapini ed ho tenuto corsi residenziali e workshop di “Sostegno alla genitorialità” presso una “struttura di protezione” per minorenni in provincia di Verona. Mi sono formata come pedagogista clinico ed iscritta all’albo dei pedagogisti SINPE. Nell’ambito delle istituzioni scolastiche sono stata membro del Consiglio d’Istituto ed ho ricoperto diverse funzioni e ruoli nei seguenti gruppi di lavoro RAV/PdM, Comitato Valutazione del servizio dei docenti, Tutor, Intercultura. Sono volontaria in un’associazione nazionale di clown therapy. 

 

 

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