Alleanza educativa scuola-famiglia

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Il tema della responsabilità educativa chiama in causa le principali agenzie educative della società contemporanea: la famiglia e la scuola. L’educazione si configura come un’attività antropologicamente connotata, nella misura in cui favorisce la crescita del soggetto-persona e la valorizzazione delle sue capacità, attraverso interventi di cura intenzionalmente e consapevolmente determinati che vanno oltre il semplice accudimento e la soddisfazione dei bisogni primari. 

L’atto educativo quindi favorisce lo sviluppo integrale del bambino, affinché grazie all’interazione con le figure di riferimento e con il contesto in cui vive, possa acquisire una forma personale e irripetibile. Costruire l’alleanza educativa scuola-famiglia: aspetti psico-pedagogiciOggi il ruolo educativo della famiglia e della scuola è riconosciuto sia a livello informale che formale. Detto compito, infatti, è legato sia al senso comune, in quanto connaturato allo sviluppo filogenetico di più specie, fra cui anche quella umana, sia alle carte costituzionali di molti Paesi o altri documenti di portata sovrannazionale come la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ad oggi ratificata da ben 196 Stati.Il peso che le relazioni educative intrafamiliari hanno sullo sviluppo della persona è attestato da molteplici evidenze empiriche, frutto di ricerche condotte a livello multi e interdisciplinare, dove aspetti biologici e socio-culturali si intrecciano e si influenzano a vicenda. Recenti ricerche neuroscientifiche sulla plasticità cerebrale, ad esempio, hanno dimostrato come lo sviluppo delle connessioni neuronali sia collegato alla qualità/quantità delle stimolazioni ambientali che il bambino riceve dall’esterno e dalle prime interazioni che egli ha con gli altri, ed in particolare con i familiari e le persone che si prendono cura di lui. 

Le esperienze della prima infanzia, unite al potenziale derivante dall’eredità genetica, influenzano in modo significativo l’architettura cerebrale del soggetto che continuerà ad arricchirsi anche in seguito, grazie a nuove esperienze, ma sulla quale il vissuto infantile sembra avere un ruolo fondamentale. Sul fronte socio-pedagogico, allo stesso modo, alcune ricerche hanno mostrato come la famiglia eserciti un ruolo importante nella strutturazione della personalità, nella definizione di comportamenti e atteggiamenti socio-relazionali, nel successo scolastico e professionale. Detti fattori, infatti, sembrerebbero essere la risultante di una “memoria sociale antica”, fortemente connessa al contesto familiare originario, e di una più recente influenzata dall’ambiente in cui i soggetti vivono.Spostando l’attenzione sul sistema scolastico, è soprattutto con l’affermarsi della scuola dell’autonomia che si è diffuso un sistema policentrico composto da una molteplicità di attori che in diversa misura partecipano al processo educativo del bambino, e all’interno del quale l’alleanza scuola-famiglia ricopre un ruolo ancora più strategico che in passato per assicurare a ciascuno il raggiungimento del “proprio” successo formativo. Perché ciò si realizzi è necessario che la scuola si configuri come un ambiente educativo di apprendimento capace di garantire, oltre ad una qualità alta dell’istruzione, anche tutti i presupposti didattico-organizzativi necessari all’esercizio del diritto all’apprendimento. 

In tal senso diventano presupposti indispensabili del successo formativo tutti quegli aspetti legati al benessere scolastico (school wellbeing), o a quello che Huppert e So hanno chiamato human flourishing.Il benessere scolastico è il risultato dell’incrocio di molteplici variabili, di natura organizzativa, didattica, relazionale, quali ad esempio la sicurezza degli ambienti, la strutturazione dei setting di apprendimento, la pianificazione di percorsi e attività personalizzate, l’adozione di metodologie didattiche efficaci, la gestione dei gruppi di alunni, il clima relazionale interno alle classi e tra il personale scolastico, le dinamiche comunicative interne-esterne all’istituzione scolastica, la partecipazione delle famiglie e soprattutto la qualità delle interazioni genitori-insegnanti.Questa attenzione alle tipologie, alle forme e ai livelli di interazione tra la famiglia e la scuola è ben analizzata in letteratura dal modello ecologico di Bronfenbrenner, secondo il quale la famiglia e la scuola costituiscono due “microsistemi”, caratterizzati da specifiche attività, ruoli sociali e relazioni interpersonali, che il bambino vive in prima persona, dalle quali per un verso è condizionato e per un altro lui stesso contribuisce a costruire. Detti microsistemi non sono entità statiche, ma in continua trasformazione, alla costante ricerca di stabilità, essi, pertanto, vanno intesi come totalità aperte, che si autoregolano, mediante un complesso scambio di informazioni tra interno ed esterno. 

Questa inarrestabile ricerca di equilibro connota sia la famiglia che la scuola: nella famiglia ad esempio ciò può essere messo in discussione da una nuova nascita, dall’ingresso di un nuovo componente, dalla separazione dei genitori, dalla ricostituzione di un altro nucleo familiare, ecc.; nella scuola può essere dato dall’inizio di un nuovo ciclo scolastico, dal passaggio da una classe o da un ordine scolastico all’altro, dall’arrivo di un nuovo alunno o di una nuova insegnante, dal verificarsi di un evento particolarmente significativo per la vita scolastica (un’esperienza didattica, un viaggio di istruzione, la realizzazione di un progetto, l’incontro con un esperto, ecc.). Gli eventi familiari e quelli scolastici nella maggior parte dei casi modificano lo status delle relazioni intrafamiliari e di classe (o di scuola), hanno conseguenze sull’organizzazione, sulla definizione/ripartizione dei ruoli, dei compiti, delle funzioni, sull’attribuzione di significati a fatti e persone, sulle reciproche aspettative degli attori in gioco, tuttavia dopo un periodo di “disorganizzazione”, il microsistema ritrova una nuova organizzazione interna, diversa da quella precedente, frutto di successivi adattamenti e negoziazioni tra le parti, per raggiungere così un nuovo equilibro, sempre e comunque temporaneo, che sarà rimesso in discussione da successivi eventi critici e transizioni evolutive. La dinamicità e la fluidità dei sistemi familiari e scolastici fa sì che questi non siano mai uguali alla somma delle caratteristiche dei loro membri, infatti essi si configurano piuttosto come la risultante delle relazioni che storicamente si determinano all’interno del gruppo, tra una o più parti del gruppo stesso.

Lo sviluppo del bambino si realizza pertanto all’interno di “sistemi” (o contesti) che sono tra di loro interconnessi, e che simultaneamente esercitano la loro influenza sul bambino. Trascurare questa dimensione di interdipendenza vorrebbe dire non considerare la complessità dei vissuti che il bambino sperimenta durante l’infanzia, una complessità che risulta essere tale proprio perché l’appartenenza a ciascuno di essi è in grado di produrre effetti anche a medio e lungo termine sulla sua personalità, sul suo sistema di valori, sulle sue credenze, sulle conoscenze e competenze che egli possiede. Tuttavia, come fa notare lo stesso Bronfenbrenner, lo sviluppo del bambino va ben oltre i singoli microsistemi a cui questi partecipa più o meno attivamente, infatti, la dimensione ecologica dello sviluppo umano è tale perché si configura come un progressivo adattamento del bambino alle situazioni ambientali immediate in cui vive, di cui acquisisce i modelli relazionali predominanti, superando la sua naturale propensione a trasferire i medesimi comportamenti in contesti diversi anche laddove sono vigenti sistemi regolativi, convenzionali e di comportamento differenti. Ecco perché è importante che sistemi diversi dialoghino tra di loro, condividendo regole, comportamenti, scopi, margini d’azione così che al bambino sia offerta la possibilità di contribuire attivamente alla loro costruzione. 

Inoltre, ciascun contesto di sviluppo non è limitato ad un’unica situazione ambientale immediata, ma include le interconnessioni tra più situazioni ambientali, nonché le influenze esterne che derivano da condizioni ambientali più generali, spesso indirette, quali il lavoro dei genitori, la rete delle relazioni sociali della famiglia, ecc., e al livello ancora più “macro”, dalle politiche sociali, economiche e culturali della società alla quale il soggetto appartiene.I rapporti scuola-famiglia si posizionano solitamente ad un livello intermedio, di “mesosistema”, con interrelazioni tra due o più microsistemi. Quanto più la presenza di positive interazioni-connessioni tra questi due sistemi è forte tanto più le risposte che il bambino sarà in grado di fornire attraverso i propri sistemi di comprensione e di azione saranno funzionali, adattivi e applicabili a più contesti anche se di diversa natura. Per fare in modo che questa interazione si realizzi occorre pianificare un progetto educativo intenzionale con finalità condivise, negoziate, frutto del contributo di ambo le parti, la scuola e la famiglia, gli insegnanti e i genitori, anche se alcuni comportamenti saranno messi in atto prioritariamente in una delle due situazioni ambientali, mentre altri potranno esprimersi in maniera più diffusa. Scuola e famiglia sono i microsistemi più importanti per il bambino. Come sostengono Ciucci, Baroncelli, Toselli e Denham, genitori ed insegnanti sono chiamati a comunicare intorno ai pensieri e ai sentimenti che riguardano il bambino e il suo sviluppo, che vanno a loro volta collegati alle pratiche educative messe in atto, ai risultati che si intendono ottenere e a quelli effettivamente conseguiti, alle scelte valoriali che stanno alla base delle azioni educative realizzate sia a scuola che in famiglia. 

Solo in questi termini ha senso parlare di “alleanza educativa”, i cui termini devono essere ben definiti, non possono essere né improvvisati né lasciati al caso, in modo tale che possano essere sempre richiamati come elementi di un contratto formativo assunto da ambo le parti nel comune interesse del bambino e della sua crescita.Come affermano sempre Tambasco, Ciucci e Baroncelli, nella costruzione di questa alleanza almeno due elementi sembrano essere imprescindibili: 

  1. il sistema di comunicazione che lega scuola e famiglia; 
  2. la qualità della relazione insegnanti-genitori. 

Nel primo caso è importante che all’interno delle politiche di ciascuna istituzione scolastica sia data priorità all’interazione tra genitori e insegnanti, individuando momenti formali (consigli di classe, assemblee, organi collegiali, elezioni dei rappresentanti, ecc.) e informali (incontri aperti alle varie componenti scolastiche, costituzione di comitati, gruppi tematici, iniziative educativo-culturali, opportunità di aggregazione e di intrattenimento culturale, ecc.) di conoscenza e di scambio. La frequenza di detti incontri, tuttavia, non può essere considerata l’unico indicatore di riferimento, infatti al di là della numerosità degli incontri è importante prestare attenzione anche alle modalità di interazione che li caratterizzano. Sovente, infatti, soprattutto i genitori lamentano scarsa considerazione e coinvolgimento delle famiglie nelle scelte educative della scuola, a partire dalla pianificazione del PTOF, dalla progettazione del curricolo, dalla scelta di progetti didattici e iniziative culturali della scuola. L’atteggiamento più diffuso pertanto è quello ispirato alla passività e alla mera ricettività delle decisioni prese dal personale scolastico, a fronte di una competenza tecnico-didattica specifica che viene anteposta alla possibilità di condividere parte delle scelte (anche) di natura didattica con le famiglie. In molti casi ci si riduce ad un’informativa alle famiglie senza che sia stata prevista una loro reale partecipazione ai processi decisionali, ignorando o trascurando risorse importanti presenti nei genitori che invece potrebbero essere valorizzate come competenze di natura contenutistica, laboratoriale, psico-relazionale, ecc.

Nel secondo caso, quello della qualità della relazione insegnante-genitore, vanno considerati aspetti propri della comunicazione-interazione interpersonale come il tono emotivo, la soddisfazione, le modalità e i contenuti della comunicazione, il grado di accordo, l’apprezzamento/rispetto, la fiducia, il riconoscimento reciproco, il sostegno, la cooperazione. In questo frangente è fondamentale riuscire ad instaurare un modello comunicativo a due vie, improntato sulla ricerca e condivisione reciproca di informazioni relative al comportamento e alle esperienze del bambino. Le narrazioni degli insegnanti e quelle dei genitori assumono la medesima importanza, perché sono in grado di mettere in comune punti di vista, stati d’animo, racconti sulla vita pregressa/attuale del bambino che altrimenti non potrebbero essere conosciuti dalle figure educative e di cura che non li hanno vissuti direttamente. Quando un insegnante ricerca e condivide informazioni sul bambino con i suoi genitori dimostra interesse per il bambino, cerca di conoscerlo meglio, presta attenzione alla sua unicità, oltre a cercare di rispondere in maniera efficace a specifici bisogni di cura. Lo stesso dicasi per il genitore, che, interessandosi e partecipando alla vita scolastica del figlio, dimostra interesse verso il lavoro scolastico, riconoscendo nell’insegnante un interlocutore privilegiato, diverso da sé, ma comunque in grado di contribuire significativamente allo sviluppo e alla crescita del figlio. 

La ricerca e la condivisione delle informazioni rinforzano la relazione positiva genitore-insegnante, servono a migliorare il benessere del bambino oltre a promuovere il riconoscimento reciproco del ruolo che il genitore e l’insegnante hanno nelle esperienze di vita del bambino, contribuendo alla costruzione di rappresentazioni autentiche dei rispettivi ruoli educativi. Alcune ricerche sul modello comunicativo a due vie sostengono come questo tipo di interazione, nel medio-lungo periodo, sia in grado di sviluppare una maggiore conoscenza del/sul bambino, utile per la definizione di piani educativi condivisi, divenendo così un utile strumento di problem solving collaborativo e di partnership di cura.Il rapporto scuola e famiglia è un rapporto assai complesso, ma sempre più imprescindibile; un rapporto che, nel corso dei decenni, e sulla scorta dei mutamenti socio-culturali ed economici che hanno attraversato (e tuttora investono) il nostro Paese, sembra essersi trasformato: quello tra scuola, da una parte, e famiglia, dall’altra. Rapporto che non può essere sottovalutato e tralasciato dalla ricerca pedagogica perché denso di criticità, dovute, molto probabilmente, al fatto che la partecipazione scuola-famiglia interpella le due istituzioni nel loro elemento identitario: essere luoghi primari di educazione e di istruzione. La famiglia lo è per natura; la scuola lo è per ordinamento giuridico. Si tratta di realtà umane indispensabili per l’educazione della persona e per la costruzione dell’assetto societario, ragion per cui diviene indispensabile perseguire l’irrinunciabile obiettivo della corresponsabilità educativa tra le due istituzioni.

C’è, quindi, l’urgenza di tornare a riflettere sulla partecipazione tra scuola e famiglia per tre ragioni principali: 

  • le difficoltà – sempre maggiori – insite nella relazione genitore-insegnante – basti pensare ai numerosi episodi di cronaca segnalati quotidianamente dai mass media; 
  • la separazione, sempre più evidente, tra scuola e famiglia – per cui, alla prima spetterebbe il mero compito di “trasmettere” il sapere codificato, mentre, alla seconda, la “messa a punto” di regole e di modelli di comportamento; 
  • l’ingresso considerevole di alunni stranieri nella scuola – è importante ricordare che a una immigrazione individuale è subentrata una immigrazione familiare.

Alla luce di simili constatazioni, diviene fondamentale, da un lato, supportare la scuola a pensarsi, non come sistema chiuso, rigido e immutabile, bensì come spazio di cambiamento e di progettazione alla luce delle attuali trasformazioni; dall’altro, esaltare la famiglia come snodo vitale della rete educativa perché sistema di legami dinamico, capace di intrecciare relazioni con i propri membri e con l’ambiente circostante.È anche per queste ragioni che il primato educativo della famiglia non può essere messo in discussione. Tuttavia, esso non va inteso in termini di esclusività, poiché, soprattutto nell’attuale temperie storica e culturale, il sistema famiglia ha bisogno di essere supportato e sostenuto da altre istituzioni educative, in primis dalla scuola, chiamata ad agire secondo il principio della sussidiarietà.Pertanto, se da un lato la famiglia non può e non deve rinunciare alla propria mission delegando altre istituzioni, dall’altro la scuola non può esimersi dall’assolvere i propri compiti e le proprie funzioni. È necessario promuovere un rapporto di circolarità virtuosa tra le due istituzioni, favorendo legami di reciproco riconoscimento e coinvolgimento, in un’ottica di mutuo avvaloramento.

Proseguendo il discorso e ipotizzando possibili linee di sviluppo della partecipazione tra scuola e famiglia, partiamo da una constatazione basilare: la realtà scolastica odierna differisce da quella del passato anche per i flussi migratori che contrassegnano lo sviluppo dei Paesi occidentali. In tal senso, l’ingresso di minori stranieri nell’“universo” scuola deve essere ripensato nella prospettiva dell’inclusione e dell’integrazione sociali. Tutto ciò richiede inedite modalità di partecipazione tra scuola e famiglia. Si tratta, nello specifico, di rifondare la partecipazione, assegnando ai genitori il ruolo di interlocutori competenti e attivi; opponendo a un legame lineare e gerarchico – in cui la scuola è in posizione di dominanza rispetto alla famiglia – una concezione sistemica in cui scuola e famiglia, docenti e genitori, sono chiamati a progettare e a realizzare un progetto educativo condiviso. La collaborazione tra le due istituzioni diviene, dunque, fondamentale se si vuole rendere armonici i processi d’istruzione e di educazione portati avanti dalle due istituzioni. Non è possibile, infatti, trascurare il dato per cui la famiglia istruisce mentre educa e la scuola educa mentre istruisce. Ciascuna porta avanti la sua azione, avvalendosi delle competenze che le sono proprie, ma non può e non deve più fare a meno dell’altra, che diviene indispensabile ed essenziale per un comune procedere.

Alla luce di simili considerazioni, e per contribuire in maniera efficace alla crescita dei soggetti in via di sviluppo, diviene necessario attivare forme di incontro, confronto e dialogo tra scuola e famiglia, quest’ultima portatrice di una sua specifica cultura educativa, frutto dell’incontro tra le diverse culture di provenienza e degli influssi ambientali. Occorre riformulare la partecipazione alla luce della cultura educativa familiare. La famiglia deve entrare nella scuola e quest’ultima deve assumere una postura di ascolto nei confronti dell’educazione attuata nella e dalla famiglia. A partire da questo confronto, e dal dialogo che da esso scaturisce, è possibile – per la scuola e per la famiglia, anche quella d’altrove – riscoprirsi come spazi educativi interconnessi capaci di collaborare per un progetto educativo condiviso. Alla base di tale progetto di progettazione partecipata si colloca, allora, l’istanza del reciproco riconoscimento per cui docenti e genitori, scuola e famiglia sono tenuti a porsi in posizione di reciproco apprendimento». Pertanto, sia la scuola che la famiglia (compresa quella straniera) devono essere percepite, l’una dall’altra, come interlocutori competenti, dotati di potenzialità e di risorse, e con cui è importante interagire per il benessere del minore.È in questo scenario, e sulla base di tali presupposti, che la partecipazione diviene corresponsabilità, condizione in cui l’enfasi è posta sul diritto/dovere delle due istituzioni d’intraprendere un cammino di collaborazione, per il buon esito del quale entrambe sono tenute a formulare proposte e a svolgere precise attività. 

La corresponsabilità, in tal senso, implica un nuovo modo di essere delle due istituzioni. La famiglia, in quanto tale, deve essere valorizzata come luogo educativo di base, fondamentale e insostituibile per l’educazione delle nuove generazioni; la scuola, d’altro canto, deve essere avvalorata come scuola della comunità, creativamente inserita nel contesto socio-culturale locale e tesa all’educazione e al benessere dei cittadini. Dunque le due istituzioni non possono collaborare soltanto in base alla preoccupazione di contenere i comportamenti trasgressivi dei figli-alunni. La corresponsabilità ha da esprimersi anche e soprattutto sul piano del progetto educativo perseguito dalla scuola, che non può essere separato dal procedere educativo della famiglia.La corresponsabilità tra scuola e famiglia, allora, non è il punto da cui partire bensì la meta verso cui tendere e, in quanto tale, implica l’assunzione di una nuova logica, pedagogicamente connotata, e una diversa formae mentis, capaci di dare consistenza a un nuovo modo di intendere e di interpretare la relazione scuola-famiglia, docente-genitore.Lungi dal configurarsi come costrutto statico, rigido e immutabile, la corresponsabilità deve essere interpretata in senso dinamico, plurale e va differenziata anche in base ai gradi dell’istituzione scolastica e al territorio di riferimento. Si tratta di un cammino complesso e impegnativo ma che, a lungo andare, porterà alla collaborazione scuola-famiglia sotto il segno del riconoscimento delle precipue competenze. Dunque, non più strumentalizzazione dell’una nei confronti dell’altra, bensì reciprocità e riconoscimento. 

Il rapporto tra genitori e insegnanti non può essere conseguito una volta per tutte: va costruito continuamente, giorno dopo giorno, mediante un costante lavoro di confronto, dialogo, negoziazione. Scuola e famiglia sono chiamate a elaborare congiuntamente progetti educativi condivisi, mettendo a confronto le rispettive culture educative e perseguendo l’obiettivo della coerenza degli interventi. Nell’ottica della co-progettazione scuola e famiglia acquistano consapevolezza del proprio ruolo, del proprio valore educativo e delle rispettive competenze pedagogico-educative.In tal senso il rapporto di partecipazione tra famiglia e scuola, specificato come rapporto di corresponsabilità e di co-progettazione, non si esaurisce in sé stesso: si riverbera su tutta la comunità locale, innescando significativi processi di trasformazione, di riadattamento, di riequilibrio relazionale.Orientiamo, dunque, lo sguardo ermeneutico, interpretativo a una questione estremamente sentita nel contesto socio-culturale contemporaneo: il rapporto scuola-famiglia considerato in una prospettiva rinnovata di dinamicità, diacronicità e di integrazione. Ciò con l’intento di dare luce e valore alla cultura educativa della famiglia – snodo vitale della rete educativa – e nuova linfa alla scuola e alla formazione delle/dei sue/suoi docenti. 

Conclusioni

La costruzione di una comunità educante, nella quale le “figure” che ricoprono responsabilità educative (genitori e insegnanti in primis) lavorano assieme per il benessere degli alunni/figli e della scuola, è un obiettivo ambizioso, ma sempre più presente all’interno delle politiche scolastiche. Esso per un verso incide positivamente sul funzionamento organizzativo delle scuole e per un altro contribuisce alla formazione delle giovani generazioni attraverso il contributo di più soggetti e situazioni educative che non possono essere più considerate separatamente. Il continuum educativo che deve crearsi tra la famiglia e la scuola, più che una missione rappresenta un’esigenza concreta, da sperimentare quotidianamente aprendo le aule scolastiche all’esterno, superando logiche amministrative e forme di collegialità centrate sulla burocrazia, piuttosto che sul confronto, la cui efficacia formativa oggi sembra essere fortemente ridimensionata rispetto alla fiducia che gli stessi Decreti Delegati del 1974 riponevano negli organi collegiali della scuola. 

Oggi la partecipazione all’educazione dei giovani segue vie più informali, canali e forme comunicative più dirette, autentiche, spesso mediate dalle tecnologie, ma che devono tendere a costruire legami, ad avvicinare gli interlocutori dell’educazione e a sviluppare dialogo e senso di appartenenza, non tanto ad un’istituzione, la scuola, quanto ad una comunità di persone in grado di condividere problemi, esperienze, pratiche, riflessioni e possibili soluzioni.A tale scopo il modello sistemico di Bronfenbrenner, integrato da studi successivi come quelli condotti da Epstein sull’Overlapping Spheres of Influence Model, continua ad essere uno strumento utile per leggere la complessità delle relazioni genitori-insegnanti e per rafforzare la cooperazione tra scuola e famiglia. Entrambi gli autori sopra richiamati, infatti, considerano gli alunni come agenti attivi della relazione scuola-famiglia e pongono alla base della condivisione di attività, abilità e interessi tra genitori e insegnanti il rispetto reciproco e la negoziazione di obiettivi comuni a beneficio dell’apprendimento e dello sviluppo dei bambini. 

Bifulco Teresa Docente a tempo indeterminato nella scuola primaria dal 2002.Sono nata l’1 giugno 1978, dopo il liceo scientifico “Pascal”, mi sono laureata in Scienze della formazione indirizzo primaria nel 2002, nel 2004 in Scienze della formazione primaria indirizzo infanzia, nel 2012 in Giurisprudenza. Ho conseguito master biennali in pedagogia clinica, in psicologia delle organizzazioni sociali, sanitarie e scolastiche, in organizzazione, sviluppo e gestione di risorse umane in strutture sociali, sanitarie e scolastiche, in processi formativi, comunicazione ed apprendimento in rete, in dirigente scolastico nella scuola dell’autonomia. Dal 1 novembre 2019 frequento il corso di dottorato di ricerca in “Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche”.Sono sposata con Mario e sono madre di Francesco, 12 anni.

 

 

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