20 Anni di Autonomia Scolastica: punti di forza e punti di debolezza, le occasioni mancate in un dibattito che ancora continua.

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Gli anni ’90 sono stati caratterizzati da grandi trasformazioni politiche e sociali che inevitabilmente hanno investito anche il mondo della Scuola. 

In particolare a seguito di un forte movimento civile di reazione al degrado della Pubblica Amministrazione, dovuto principalmente ai fatti di “Tangentopoli”, furono varate una serie di riforme della pubblica amministrazione al fine di semplificare l’azione amministrativa e renderla più vicina ai cittadini. In questo contesto di ricostruzione dei rapporti tra Stato e cittadini, nacque la Legge n-59 del 1997, Legge Bassanini sul processo di decentramento di funzioni e servizi dallo Stato alle autorità locali, regioni, province e comuni. Nel processo di decentramento fu coinvolta anche la scuola, attraverso l’attribuzione dell’Autonomia Scolastica alle Scuole opportunamente dimensionate. L’articolo 21 della legge n.59 del 1997 conferì al Governo la delega all’emanazione dei Regolamenti attuativi dell’autonomia delle scuole. Essa comportò lo spostamento dal centralismo, a una prima forma di applicazione del principio di sussidiarietà: le scuole autonome furono chiamate a misurarsi con il territorio e il contesto di riferimento sviluppando proprie capacità progettuali.Nel nuovo movimento culturale, l’articolo 21 della Legge Bassanini, sanciva i principi- cardine della riorganizzazione del sistema gestionale e amministrativo della scuola. La sua principale traduzione operativa fu il Regolamento dell’autonomia scolastica il D.P.R. 275 del 1999, il quale all’articolo 1 dichiara che l’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale; che essa si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, che tali interventi sono adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti al fine di garantire a tutti il successo formativo. 

L’articolo 3 del Regolamento sull’autonomia, disciplina ampiamente le finalità del Piano dell’offerta formativa. Esso recita: “Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurriculare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia…”Questo fu una grande innovazione per il sistema scolastico italiano: è la prima volta che l’identità progettuale di una singola scuola, dotata di personalità giuridica, diventa obbligo di legge, difatti dal 1 Settembre 2000 l’adozione del POF diventato poi PTOF nella legge 107 del 2015, diventa obbligatoria. La legge 59 del 1997 modifica radicalmente l’organizzazione del servizio pubblico dell’istruzione ampliando l’offerta formativa delle scuole e promuovendo la loro integrazione con il territorio, fermi restando i vincoli nazionali e un irrinunciabile indirizzo unitario. Il tradizionale modello verticistico dell’organizzazione dell’istruzione viene così a essere sostituito da un modello orizzontale flessibile formato dall’insieme delle unità scolastiche, nelle quali si fa istruzione, ricerca, formazione e da un’autorità centrale che assume la responsabilità del governo del sistema e svolge funzioni di indirizzo e di controllo, fissando standard di qualità da rispettare su tutto il territorio nazionale. 

Tali innovazioni hanno assegnato nuovi compiti e nuove responsabilità al DS e agli OO.CC. Difatti uno dei punti di forza del Piano dell’offerta formativa, ora diventato Piano triennale dell’offerta formativa con la Legge 107/2015, e quindi nell’ambito dell’Autonomia Scolastica, è quello che esso pone responsabilità progettuali all’intera comunità scolastica di riferimento al fine di collaborare alla stesura del PTOF identitario della scuola di appartenenza.I capi di Istituto ai quali fu conferita la qualifica dirigenziale, con il D.Lgs n.59/98, rappresentano il fulcro per la realizzazione del processo di decentramento alle scuole, delle funzioni proprie dell’amministrazione centrale, in materia di gestione, nel contesto di riorganizzazione del sistema formativo nazionale. In questo modo viene dato senso all’Autonomia Scolastica: separare nettamente il livello politico da quello amministrativo: allo Stato viene affidato il compito di definire le linee generali del sistema di istruzione, mentre al Dirigente scolastico di attivare, promuovere, dirigere, orientare, coordinare i processi, nelle singole realtà, in base alle esigenze e ai bisogni dell’utenza e del territorio.

 Un altro punto di forza dell’Autonomia scolastica viene sancito dal D.lgs n.165 art.25 del 2001 che, declinando le funzioni proprie del nuovo capo di Istituto, ora Dirigente scolastico, ne fa il responsabile unico della gestione della scuola che gli viene affidata. Le condizioni e le norme elencate fino a questo momento, che hanno consentito l’introduzione dell’Autonomia scolastica, erano le premesse di alto valore sociale e politico che ipotizzavano un vero cambiamento nel mondo scolastico. per realizzare una grande rivoluzione dell’intero sistema scuola. A vent’anni dall’introduzione dell’Autonomia scolastica, entrata in Costituzione, con la legge n.3 del 2001, di modifica al Titolo V della Costituzione, diventa logico e normale cercare di tirare le somme e di vederne oltre ai punti di forza, anche i punti di debolezza. In questi 20 anni sono stati tanti gli ostacoli che hanno impedito la piena attuazione dell’Autonomia scolastica, al punto che con la legge 107 del 2015 e quindi a distanza di 15 anni, il legislatore ha sentito l’esigenza di porre al centro della Legge e come filo conduttore di tutte le innovazioni ulteriori, proprio l’Autonomia scolastica, dando alle Scuole nuovi strumenti finanziari e operativi per rilanciarla. Si legge al comma 5: “Al fine di dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’Autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione…”

Questo è successo perché tutte le Riforme che si sono succedute in applicazione dell’Autonomia scolastica, pur portando cambiamenti e novità nella scuola, sono state nello stesso momento, fortemente ostacolate dallo stesso mondo della scuola, consentendo la loro applicazione solo in parte o per niente: dal “riordino dei cicli” di Tullio De Mauro con l’eliminazione della scuola media, alla legge 53 del 2003 di Letizia Moratti con il Portfolio, le prime Indicazioni Nazionali, le Unità di Apprendimento, il docente tutor, le ore opzionali; dalla Riforma Gelmini del secondo ciclo con l’eliminazione del mare confuso delle sperimentazioni eterne, fino ad arrivare alla legge 107 del 2015 con la “chiamata diretta”, il bonus premiante il merito, gli ambiti territoriali, il PTOF, la valutazione dei Dirigenti, l’alternanza scuola lavoro nei licei. Tutte occasioni mancate, perché ogni volta il cambiamento veniva visto come qualcosa di troppo radicale. Basti pensare a come è stata male interpretata la famosa “chiamata diretta” introdotta dalla legge 107, un’altra occasione mancata che avrebbe potuto dare a ogni scuola la possibilità di una più forte identità nell’ambito del proprio contesto territoriale e culturale. 

Anche a seguito della legge 107/15, il cui filo conduttore è il rilancio dell’Autonomia scolastica, ci sono state delle resistenze, dai Decreti attuativi, alla chiamata diretta, al bonus premiante, alla valutazione dei Dirigenti scolastici, all’autovalutazione d’Istituto, tutte hanno cercato la loro attuazione attraverso compromessi, perché il mondo della scuola pubblica nasce da un concetto di Stato protettore, da cui sarà difficile staccarsi, fino a quando non ci sarà una vera rivoluzione infrastrutturale accompagnata da una vera rivoluzione nella valorizzazione delle risorse umane, con forme istituzionali del middle management, tradotto in diversi gradi di carriera. Il dibattito è tutt’ora in atto, il periodo di emergenza sanitaria che ha portato alla chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, su tutto il territorio nazionale, pone fortemente di nuovo la scuola davanti alle proprie responsabilità: riuscire a trovare soluzioni efficaci e sicure, declinando i decreti ministeriali, a livello territoriale, sfruttando al meglio tutte le potenzialità locali per la riapertura a settembre con modalità diverse per contrastare eventuali nuovi contagi.Questa è un’altra sfida che pone di nuovo i capi di istituto davanti a forti responsabilità e ancora una volta è necessario sapersi muovere bene per trovare soluzioni efficaci in collaborazione con gli Enti locali, nell’ambito della meravigliosa Autonomia scolastica. 

GABRIELLA BEFACCHIA Docente di lingua inglese presso la Scuola Secondaria di 1 grado; Master di 2 livello per Dirigenti Scolastici conseguito presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo; Integrazione modulo Didattica presso la stessa facoltà; Master di 1 livello in Traduzione e Redazione Tecnica, conseguito presso l’Università degli Studi dell’Aquila.

 

 

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