Flessibilità cognitiva, sostenibilità, inclusione: le sfide per la didattica, cuore dell’autonomia

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In una società in continua e rapida evoluzione anche la scuola diviene protagonista di grandi mutamenti, e così come cambia il ruolo dei docenti e degli studenti in classe, mutano anche le dinamiche comunicative tra i vari membri di questo sistema complesso ed articolato. 

Negli ultimi decenni, possiamo dire che una delle più profonde trasformazioni nel mondo della scuola si è avuta con la legge sull’autonomia ed i successivi decreti che ne hanno delineato gli aspetti fondamentali. Scopo di tale iniziativa legislativa è stato diversificare l’offerta formativa sulla base delle esigenze del contesto di riferimento per cercare di soddisfare le richieste didattiche ed educative degli alunni e delle famiglie.

In seguito, si sono aperti nella scuola ampi spazi di autogestione e di flessibilità, sia per quanto riguarda gli aspetti logistici ed organizzativi che per quanto concerne l’impiego funzionale dei docenti: ora per realizzare diverse modalità di insegnamento, ora per attuare forme di innovazione nelle metodologie e nelle risorse strumentali, ora per sperimentare ambienti di studio e ricerca innovativi.

Nel mio immaginario, la scuola costituisce un ambiente aperto, sempre attuale, una “fucina” di stimoli e novità, con solide radici nel passato e uno sguardo attento e proteso al futuro, sia in termini sociali che di ricerca-innovazione didattica, psicologica e pedagogica. 

Una scuola articolata, dunque, ma autonoma, con il suo baricentro nella personalità dello studente in apprendimento, in un contesto sociale complesso e in continua trasformazione, che non può accontentarsi di persone statiche e prive di stimoli, ma esige molto di più. 

Si fa strada, quindi, da parte di molti insegnanti, la consapevolezza di attuare un continuo lavoro di ricerca, percorrendo una strada con taluni sbocchi e numerose diramazioni. 

È questo un cammino che, a partire da se stessi e dalle proprie inclinazioni, conduce i “podisti della didattica” a mettere sempre in gioco la propria professionalità. 

Essi assumono in prima persona il carico, ma anche il gusto di studiare per tutta la vita, per cui si ritrovano, con una punta d’orgoglio, ad essere veri “professionisti nella gestione dei saperi” della e nella scuola. 

Non bisogna dimenticare tuttavia che il protagonista e cardine di questo vitale “moto di ricerca” è lo studente come persona in formazione che, per crescere e maturare, ha bisogno di docenti motivati, competenti e preparati che lo guidino e lo supportino.

Emerge quindi l’esigenza di un insegnante che non si accontenti della routine quotidiana e non si faccia vincere dalla didattica tradizionale, ripetitiva, che dia apparentemente sicurezza nel proprio operare, ma si lasci travolgere dalle novità, ovvero diventi un “ricercatore in azione”. 

La ricerca-azione ha origine negli Stati Uniti grazie agli studi dello psicologo Kurt Lewin, tedesco di origine, ma americano di adozione, tra i primi ricercatori a studiare le dinamiche dei gruppi e lo sviluppo delle organizzazioni, partendo da problematiche legate alle minoranze etniche. 

Solo in seguito, a partire dagli anni ’80, la ricerca- azione è approdata nel mondo della scuola, soprattutto attraverso gli studi di Kemmis e Easen, che hanno operato in Australia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. 

Secondo questi studiosi, l’efficacia dei risultati è garantita dal fatto che l’oggetto della ricerca, radicato nella situazione reale della scuola, è individuato dagli insegnanti, che diventano in tal modo essi stessi dei ricercatori.

L’insegnante-ricercatore non è sicuramente una personalità statica, ma ha bisogno di continui stimoli, che gli giungono dall’alto, ma soprattutto da se stesso e nella realtà odierna, che offre percorsi e sviluppi sia in presenza che a distanza, le opportunità davvero non mancano. 

La mente aperta all’apprendimento e la disponibilità ai cambiamenti, mi porta a collegare questa tipologia di insegnanti, assieme a molte altre categorie di lavoratori, ad alcuni recenti studi svolti nel campo della psicologia cognitiva in relazione alle funzioni esecutive. Si tratta di studi che, a partire da Miyake, comprendono una serie di capacità che svolgono un ruolo chiave nel dirigere i comportamenti, le emozioni e i pensieri. 

Prima di tutto le funzioni esecutive sono importanti per stimolare in ciascuno di noi l’adattamento alle nuove situazioni, per le quali è richiesta una certa dose di flessibilità. Esse comprendono in particolare tre capacità, ovvero l’inibizione o controllo inibitorio, la memoria di lavoro e la flessibilità cognitiva. Quest’ultimo aspetto costituisce quella abilità che permette di cambiare i propri pensieri e comportamenti in base alle sollecitazioni dell’ambiente.

La cura di tali aspetti, può avere sviluppi positivi all’interno della classe e, soprattutto, nei singoli allievi che possono raggiungere soddisfacenti risultati sia in ambito matematico che nella capacità di lettura e comprensione dei testi e può aiutare gli studenti ad avere successo nei loro traguardi scolastici.

Ma la flessibilità cognitiva, se curata e portata avanti con successo dagli insegnanti, potrà avere buoni esiti anche negli allievi e se trova terreno fertile nelle famiglie, il gioco per molti studenti è fatto.

Un altro fondamentale riferimento per la scuola, è dato dalla realtà nella quale essa opera, realtà che comprende non solo gli alunni e le loro famiglie, ma anche il contesto sociale in cui “vive”, quasi come un organismo che si rapporta con altri organismi, e che si avvale di risorse professionali, tecnologiche, ed è immerso in realtà locali che lo costituiscono internamente e ne irradiano esternamente il tessuto.

Questi aspetti e le loro diramazioni ed intrecci spiegano perché un buon curricolo, che sta alla base della progettazione didattica, è fortemente “localizzato”, per cui è inevitabilmente diverso da quello elaborato in altri contesti di studio e di lavoro.

Come ricorda il pedagogista Cesare Scurati, teorico della ricerca-azione, il rapporto con la realtà è un elemento essenziale del curricolo, che viene ad essere una sorta di “vestito su misura” della scuola considerata nel suo radicamento territoriale. Il curricolo rappresenta quindi un prodotto sociale, frutto della capacità di negoziazione interna ed esterna alla scuola, nella fitta rete di relazioni che lega la comunità educante alle realtà più varie presenti nel territorio. 

Infine, la logica del curricolo impone che quanto viene predisposto sia comprensibile, comunicato socialmente, e verificabile. E ciò avviene grazie alla trasparenza, condizione essenziale della continua possibilità di ridefinizione e di miglioramento.

Fra l’altro, restando nell’ambito della realtà che circonda ciascun contesto scolastico, è inevitabile addentrarsi nei temi legati all’educazione ambientale, alla sostenibilità, al patrimonio artistico e culturale.

Attraverso queste tematiche è possibile stimolare, soprattutto nelle giovani generazioni, oltre alla consapevolezza di esser membro di una comunità locale, l’idea di appartenere ad un più vasto ambito globale.
A tal fine è indispensabile, sia per se stessi che per la collettività, sviluppare nei giovani un’adeguata sensibilità, come ad esempio, alle questioni legate al benessere personale e collettivo, all’adozione di corretti stili di vita, alla lotta ai cambiamenti climatici.
L’estrema attualità di tali argomenti richiede che essi vengano trattati in una prospettiva globale, scientificamente e internazionalmente condivisa, attenta ai principi della sostenibilità ecologica, sociale ed economica. 

È importante che ciò si sviluppi nelle scuole anche attraverso la partecipazione a indagini e concorsi, condotti in un’ottica interdisciplinare e che costituiscano la base di riflessioni e lavori collettivi, con uno sguardo sempre aperto alla solidarietà, alla pace ed alla legalità. 

Educare allo sviluppo sostenibile vuol dire, quindi, discutere sui valori fondamentali della vita sulla Terra e sulla complessità dei fenomeni e delle relazioni. Significa pure riflettere sul ruolo di ognuno di noi nella società e nell’ambiente in cui viviamo. L’educazione alla sostenibilità ambientale rappresenta senz’altro lo “strumento didattico” ideale per alfabetizzare i bambini alla cittadinanza attiva nel contesto della classe, fino ad arrivare a sensibilizzare i giovani nei confronti delle problematiche planetarie. 

E parlando di ecologia, sostenibilità e dimensione planetaria si capisce come le sfide siano ancora tutte da compiere, di pari passo con i progressi nel settore scientifico e in quello politico, a tutti i livelli.

Una scuola sostenibile, aperta, attenta ai valori della realtà circostante e della vita sarà necessariamente, attraverso i propri docenti, anche una scuola attenta all’altro, alla “diversità”, all’inclusione.

Purtroppo, nonostante leggi e decreti parlino chiaro in merito all’inclusione, le più recenti prospettive inclusive della scuola italiana, in taluni casi stentano ancora a decollare. L’opinione pubblica, infatti, a partire dalle stesse famiglie, continua a ritenere che l’unica soluzione e “panacea” ai “mali scolastici” dei propri figli sia rappresentata dall’esclusiva risorsa del docente per il sostegno e non da un contesto più “flessibile”, rappresentato dall’intera comunità scolastica.

Ciò denota come il messaggio della “normale” didattica inclusiva sia solo “in nuce” nella scuola italiana e che la scommessa dell’autonomia sia ancora, per certi versi, tutta da vincere. 

In altre parole, si evidenzia che la sola assegnazione dell’insegnante di sostegno agli alunni con disabilità non è sufficiente a garantirne il successo scolastico e formativo, se non è affiancata da un contesto veramente “inclusivo”, capace cioè di rendere gli allievi con disabilità il più possibile autonomi e indipendenti nello studio e nella vita, a prescindere dalla presenza o meno dell’insegnante di sostegno.

Pertanto, se il docente di sostegno riuscirà a far evolvere la propria figura professionale in “sostegno del contesto”, un altro passo importante la scuola dell’autonomia lo avrà sicuramente compiuto. Anche calandomi nella mia esperienza personale in qualità di insegnante di una classe con tre alunni certificati, devo ammettere, che le premesse ci sono tutte per rendere possibili positivi sviluppi futuri della figura del docente in tale direzione.

L’argomento richiederebbe ulteriori approfondimenti per cui riordinare le idee ed i concetti in poche righe di scrittura non è semplice ma spero, attraverso questo articolo e le priorità in esso affrontate, di essere riuscita a trasmettere la mia visione dell’insegnamento come avventura coraggiosa e continua. 

La sfida che si compie ogni giorno nella scuola, come qualsiasi sfida, implica il superamento di prove e, talvolta, la realizzazione di sogni, ma sempre con uno sguardo attento e ancorato alla realtà. In tal modo le solide basi lasciate in eredità dai maestri del passato non impediranno a noi, “podisti della scuola”, di compiere con perseveranza l’impegnativo, appassionante, intenso percorso della nostra vita scolastica.

Francesca Zanini (04/09/72), veronese, insegnante di ruolo nella scuola primaria, laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Verona. Abilitata al ruolo di Giornalista Pubblicista presso l’Ordine dei Giornalisti del Veneto dopo aver svolto praticantato presso una rivista mensile specializzandosi in narrativa contemporanea con recensioni su scrittori esordienti. Nella scuola ha ricoperto diversi incarichi, fra i quali Tutor di docenti neoimmessi in ruolo e Curricolo, per cui ha svolto la mansione di Funzione Strumentale. Recentemente ha acquisito l’idoneità all’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria frequentando il corso triennale di formazione linguistica autorizzato dal Ministero. Fra gli interessi principali, oltre alla narrativa, vi sono l’arte, la filosofia e la gastronomia.

 

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