Ci risiamo, purtroppo, a dover prendere atto di un’emergenza sociale allarmante che, stavolta, mette in serio pericolo i nativi digitali.
È difficile poter accettare che agli albori del XXI secolo, era in cui l’homo sapiens ha a disposizione mezzi tecnologici che dovrebbero semplicemente semplificargli la vita, e lo fanno a onor del vero, si debba venire a conoscenza di episodi tragici e allarmanti che dimostrano quanto l’Uomo sia stato capace, ahimè, di trasformare mezzi e strumenti di utilità individuale e collettiva in armi letali e di danno psicologico e fisico.
È evidente che non sempre sono state colte le finalità del progresso tecnologico seppur la politica europea in materia di ricerca e sviluppo tecnologico abbia assegnato ad esso una posizione importante nella normativa dell’UE fin dalla firma dei primi trattati comunitari; la stessa politica europea nei primi anni ottanta ha visto la creazione di un programma quadro di ricerca e, a partire dal 2014, un’importante parte dei finanziamenti sono stati raggruppati nel Quadro di Orizzonte 2020 per rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche e per una maggiore competitività a livello internazionale.Internet, la rete di collegamento informatico a livello planetario, ha rappresentato una vera rivoluzione tecnologica e socio-culturale dagli inizi degli anni novanta ‘accompagnata’ dalla netiquette (network + étiquette) che sottolineava comportamenti sbagliati che il giovane navigatore poteva assumere.
Tutto il mondo si connette in Internet e soprattutto gli adolescenti che non sono solo utenti dei social network , ma, spesso, anche ‘contenuto’ con immagini o post pubblicati che li riguardano attraverso i quali desiderano raccontare le loro esperienze, dare sfogo alla creatività o soddisfare il bisogno di autorappresentarsi! Cristopher Lasch, nel 1978, parlava di cultura del narcisismo riferendosi alla tendenza della società degli anni 70 a fondarsi su un individualismo esasperato che si traduce nel culto del corpo (C. Lasch, La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani, 1981). Il soggetto perdendo la sicurezza che in passato proveniva dalla solidarietà di gruppo e vedendo negli altri dei rivali con i quali competere, finirebbe col diventare vittima di uno stato di costante inquietudine e insoddisfazione personale cercando le certezze smarrite e l’alimentazione della propria autostima nell’approvazione degli altri. Paolo Crepet parla di “cultura di narcisismo” che, pur in un contesto storico diverso, è tornata in auge. La tesi di Crepet a riguardo è, in sintesi, che la società contemporanea sarebbe di fronte ad una rivoluzione antropologica, caratterizzata dal passaggio verso una “comunità egoista”, ovvero sempre più incentrata sull’individuo: “essa si viene a creare quando il bene comune finisce per coincidere esattamente con il bene personale (e non viceversa), quando le relazioni sociali esistono nella misura in cui servono all’individuo per soddisfare il proprio ego”. La nuova forma di narcisismo produrrebbe nei soggetti un continuo bisogno di piacere che avrebbe le radici nel timore di rimanere esclusi: questa nuova forma di narcisismo non sarebbe limitata ai protagonisti dello “star system”, ma, per effetto delle tecnologie digitali, si estenderebbe a qualsiasi cittadino, sempre più alla ricerca del Warholiano “quarto d’ora di celebrità”, da conquistare non più sporadicamente, ma in modo sistematico all’interno della propria cerchia di legami ma anche oltre (S. Greco, Narciselfie, Lurago d’Erba, Il ciliegio, 2016; A. K. Lakshmi, The selfie culture: narcissism or counter hegemony? “Journal of Communication and Media Studies”, Vol. 5, 1, Jun 2015.
I social media, allora, diventano opportunità di gratificazione istantanea per i propri bisogni di ammirazione e riconoscimento dovuto in nome di modelli di identificazione perfetti e ideali difficili da raggiungere, troppo spesso venerati, a discapito dei Valori che tutelano l’Umanità e che garantiscono l’armoniosa convivenza che permette a ciascuno e a tutti di fruire le meraviglie della Vita esplicando il proprio Progetto esistenziale. Come rivista MA.GI.C-E-SCHOOL, abbiamo ritenuto opportuno condurre un sondaggio che ha interessato studenti della Scuola Secondaria, dal quale è emerso che:
- il 42,4% dei genitori non dà orari per regolare i tempi di svago e quelli di studio, il 35,5% qualche volta e il 22,1 % ha risposto affermativamente;
- il 46,5% degli studenti trascorre almeno sei ore connesso ai social, il 21,5% costantemente e il 32% meno di due ore al giorno;
- per il 90% i social permettono di passare il tempo conversando o giocando;
- il 68,3% è sicuro dell’interlocutore;
- il 59,6% si aspetta di essere seguito dai followers e il 6% che possa essere imitato;
- il 69,2 pensa di dare divertimento con i loro Tik Tok, il 23,6% distrazione e il 5,1% modelli da imitare;
- il 42,6% ha scelto la parola competitivo per rappresentare l’importanza che dà ai giochi online e il 23,7% ha scelto coinvolgente;
- i genitori che sanno cosa fanno i loro figli su Tik Tok risultano essere pari al 30,8%;
- il 42,4% delle famiglie dà orari per regolare i momenti di svago e quelli di studio;
- nell’arco temporale di un’ora, il 53,9% guarda spesso il cellulare senza che ce ne sia bisogno, il 38,1 raramente, 8% mai
- per il 19,6% il modello di telefono cellulare rappresenta, per chi lo sceglie, uno status symbol, il 39,3% ha risposto negativamente e il 41,1% ha risposto di non sapere.
Sicuramente siamo tutti coinvolti nella rivoluzione culturale che stiamo vivendo e che ha azzerato quelle certezze che ci avevano permesso di assimilare e accomodare le informazioni in specifici schemi determinando quei nostri atteggiamenti psicofisici e relazionali che, al momento, appartengono al passato. Il risultato lo viviamo sulla nostra pelle: ci ritroviamo catapultati in una dimensione sociale completamente nuova che ci ha ‘costretti’ a modificare tutta la nostra esistenza per adeguarci ai nuovi paradigmi.
Ebbene, in questi casi anche se non è per niente facile, l’uomo deve attingere alle risorse culturali che possiede scegliendo tutto ciò che gli è possibile per attrezzarsi e affrontare le nuove situazioni nel minor tempo possibile e, soprattutto, nel migliore dei modi. Ed è naturale che le nuove generazioni in evoluzione si affidino agli adulti che ne sanno più di loro, sentendosi protetti e al sicuro. È pur vero, però, che la complessità dell’esistenza richiede una convergenza di intenti e di azioni da parte di tutti gli elementi costitutivi dello Stato, la Famiglia in primis (artt.2-29-30-31 Costituzione); convergenza che deve concretizzare l’emancipazione attraverso situazioni economico socioculturali ottimali nel rispetto del dettato Costituzionale.Nel nostro Paese, la legge 107/2015 ha introdotto il Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD), un documento pensato per guidare le scuole in un percorso di innovazione e digitalizzazione previsto nella riforma della Scuola che presuppone un cambiamento di prospettiva in quanto le tecnologie digitali di informazione e comunicazione contribuiscono a creare ambienti significativi di apprendimento costituendo esse stesse contenuti da conoscere e strumenti preziosi di esercizio delle abilità che portano, naturalmente, all’acquisizione delle competenze in un processo dinamico tale che colui che apprende è promotore e fautore consapevole tanto del processo quanto del prodotto.
Ed in tutto questo, la rete è, sicuramente, una miniera d’oro per la ricchezza inestimabile di informazioni e per l’immediatezza dei canali di comunicazione: nell’ultimo anno, in particolare, ma già dall’ultimo decennio almeno, sappiamo bene quanto la rete sia stata provvidenziale, a tutti i livelli e in tutti i settori. Chiaramente, come per tutte le cose, bisogna farne un uso funzionale perché sia proficua e per evitarne alterazioni e disfunzioni.
La rete necessita di un’organizzazione articolata e capillare che non perdona la pur minima defaillance.
E, purtroppo, non possiamo negare che qualcosa è andato storto, che qualcosa è sfuggito all’attenzione di più di un attore: nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato ufficialmente la dipendenza da videogiochi come una patologia e negli USA sempre più ragazzi devono essere ricoverati nei centri di riabilitazione per la dipendenza dai social, come risulta dall’analisi di Common-Sense Media, un’organizzazione che monitora l’uso dei social. E anche in Italia i dati non sono più confortanti: secondo un sondaggio condotto dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, nel 2017 il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni controlla lo smartphone circa 75 volte al giorno, con picchi che arrivano addirittura a 110 volte.L’imperativo categorico deve far sentire in colpa decisori, responsabili della cosa pubblica e cittadini tutti, e tutti siamo chiamati a chiederci perché degli innocenti possano essere vittime della società, quella stessa società che li ha voluti fortemente e che avrebbe dovuto contare su di loro difendendoli e proteggendoli come il Bene più prezioso.
Rosaria Frandina, Abilitazione alla Vigilanza nelle Scuole Elementari, Laurea in Lettere (tesi: Fragilità maschile e femminile in Capuana), Master II livello "La dirigenza scolastica nella società contemporanea". Ha ricoperto incarichi di Fiduciaria di Plesso, Referente Continuità, Funzione Obiettivo e Strumentale extrascuola, Tutor Neoimmessi (3), Referente "Legalità, Ambiente, Bullismo", Esperto Progetto Pon ( competenze di base italiano) "Libertà di pensiero e parola...rispettando le regole", Membro CdC (tutt'ora), Referente "Curriculo Locale" per l'attuazione della L. R. n. 9/2011 (quest'anno).Insegno dall'anno scolastico 1982/83 con spirito di servizio, consapevole che ogni emozione, parola o gesto possono arricchire o depauperare l'azione educativa