È una notte dimenticata dalla luna, una notte difficile, incapace di riconoscere e attribuire valore, una notte che ammanta il sapere tradizionale, è la notte attraversata dalle donne per arrivare sin qui.
Per rilucere all’alba è stato necessario, come dice Luce Irigaray, pensatrice della differenza, evadere dal “carcere” del “soggetto unico della filosofia occidentale: cioè il soggetto maschile” (cfr. Luce Irigaray, Verso una filosofia della intersoggettività, in Segni e Comprensione, Rivista quadrimestrale – n. 22 – anno VIII – maggio – agosto 1994, Capone Editore).
Così, rilucere all’alba, per la donna, significa non essere più piccola, più grande, uguale a qualcuno, ma semplicemente, naturalmente, culturalmente, altro dall’uomo. Si tratta di un’alterità che si determina attraverso l’incontro e la relazione con l’altro da sé, ma resta fedele a se stessa. Si determina una pluralità che non si può chiudere negli universi di valore. A questo punto, essendo i soggetti della relazione due, e non più uno, l’ “intervallo” tra i due certamente cambia, ma è tutelato nella sua irriducibilità dalla “differenza”.
È nella sua “destinazione relazionale”, cioè il compimento della sua umanità con l’altro genere, per citare ancora L. Irigaray, che la donna, restando fedele al proprio genere, ha possibilità di incontrare creativamente e felicemente l’altro.
Si delinea la possibilità non di un’uguaglianza, ma di un’alleanza tra generi.
E l’espressione politicamente corretta “parità di genere” deve, a mio parere, riconfigurarsi, arricchendosi nel senso, presupponendo, per esempio, la possibilità creativa, che potrebbe scaturire proprio dall’alleanza tra i generi.
È percezione o auspicio comune, che nell’odierno frangente storico, il mondo stia compiendo un giro di boa per riproporsi come nuovo. E allora si colga l’occasione per produrre lessico, pensiero, cultura e politica nuovi. Si stipulino diritti civili basati sul pieno riconoscimento della persona. Garantire il civile: che sia questo il tessuto connettivo dell’auspicata opera di cambiamento!
Sarà accaduto a molte donne lavoratrici, come me, (sarà accaduto a molte delle mie colleghe docenti, ancor di più alle docenti facenti parte del “Middle Management”, ci scommetto!) di sentire addosso l’odore pungente del sospetto verso il loro attaccamento al lavoro. Il sospetto degli uomini, come anche delle stesse donne, che l’impegno pieno e totalizzante della donna alla propria attività lavorativa sia in realtà una distrazione da se stessa, dalla propria vita, da qualcosa che non gira o non ha girato nel verso giusto, da una qualche insoddisfazione o frustrazione personale.
È il regime del sospetto ad opera di detrattori, che per ignoranza, dimenticanza o negligenza, non vedono la forza istintuale e creatrice, l’intuito, l’acume, la resistenza, la curiosità delle donne, massime detentrici della capacità di rapporti fusionali con l’altro da sé e artiste dell’adattamento.
“La donna moderna è un garbuglio di attività. È costretta a essere tutto per tutti” (cfr. “Donne che corrono coi lupi”, Clarissa Pinkola Estés, PICKWIK).
Anche prima dell’attuale recessione economica, nonostante la conquista di una maggiore equità nella genitorialità avvenuta negli ultimi decenni, il peso maggiore del lavoro di cura poggiava tra il capo e il collo delle donne.
In Italia il tasso di disoccupazione femminile, soprattutto delle madri, è tra i più alti d’Europa. Tra i dati CNEL maggiormente drammatici, relativi al mercato del lavoro all’inizio dell’anno 2021, ci sono quelli relativi all’occupazione femminile, che già prima della pandemia da COVID-19, versava in una situazione di criticità. In Italia quasi una donna su due risulta inoccupata. Quanto fotografato dal “Rapporto sul Mercato del lavoro e contrattazione 2020” del CNEL è una profonda alterazione che investe il mercato del lavoro e l’economia, lasciando presupporre influenze negative sulle prospettive future di lavoro delle donne.
Tra l’altro, secondo Eurofound (l’agenzia tripartita dell’UE che fornisce conoscenze per assistere nello sviluppo di migliori politiche sociali, occupazionali e legate al lavoro), la ragione per cui le misure COVID – 19 operano a svantaggio delle donne nel mercato del lavoro, è da rintracciarsi negli squilibri di genere esistenti tra i diversi lavori nell’economia: gli uomini hanno più probabilità di essere impiegati nelle attività economiche considerate essenziali, mentre le donne, tendenzialmente, dominano numericamente nelle attività che non si possono svolgere tramite il telelavoro (servizi personali, vendita al dettaglio, turismo…).
Allo stato attuale delle cose, con un sistema di welfare pubblico che conferma le proprie carenze, armonizzare lavoro e “care” per le donne italiane è ancora una bolina stretta.
Ad inizio secolo, lo sviluppo normativo del settore perviene ad una nuova tappa in cui risulta difficile distinguere quanto l’Italia abbia legiferato autonomamente e quanto invece sia stato introdotto sotto la spinta europea, in applicazione delle diverse direttive oppure, sotto l’influenza delle interpretazioni della giurisprudenza europea. Le politiche europee hanno apportato un significativo contribuito all’agevolazione delle condizioni di parità fra uomini e donne e questo sia nel lavoro che nella famiglia. Ne è un esempio la direttiva (UE) 1158 del 2019 del Parlamento e del Consiglio, che incentiva l'equilibrio tra attività professionale e vita familiare sia per i genitori che per i prestatori di assistenza.
Tra madri e padri persiste un forte squilibrio relativamente ai carichi familiari. Ragion per cui, la disciplina dei congedi parentali ed in particolar modo l’avvenuto riconoscimento del congedo di paternità dopo la nascita o adozione di un figlio, rappresenta un significativo strumento a tutela della donna lavoratrice. Il padre può usufruire di giorni di permesso retribuito esclusivi ed autonomi (quindi, aggiuntivi e non trasferibili) rispetto al periodo di congedo possibile per la madre.
Ancora ben radicate sono poi le difficoltà inerenti la carriera e la crescita salariale (il cosiddetto “gender pay gap”, ossia, la differenza di salario tra uomini e donne a parità di livello lavorativo). Nelle situazioni di criticità che costringono a decidere chi tra uomo o donna, nell’ambito della famiglia, debba rinunciare a lavorare, spesso soccombe la donna. L’inferiorità reddituale, nell’economia della famiglia, riduce ad un ruolo sussidiario le donne, rendendole finanziariamente vulnerabili e contribuisce a confermare il modello di sostentamento familiare, indicato con il termine “breadwinner”, secondo il quale è un solo membro che procaccia reddito.
A questo si aggiunge la scarsa offerta dei servizi educativi per l’infanzia. Importante per l’Italia è stata, a tal proposito, l’approvazione dei decreti attuativi della Legge n. 107/2015, con la quale è giunta anche la riforma del sistema educativo per l’infanzia da 0 a 6 anni (D.Lgs. n. 65/2017). Con l’intento di avvicinare l’Italia agli obiettivi europei del 2020, ciò che è stato offerto alle famiglie sono state strutture e servizi ispirati a standard uniformi su tutto il territorio nazionale.
Dunque, le dimensioni più critiche della condizione delle madri sono quella della cura, quella del lavoro e quella dei servizi. Ragione per cui molte madri, pur di mantenere un’occupazione lavorativa, optano (involontariamente) per il part-time. E siccome piove sempre sul bagnato, la situazione sopra descritta si aggrava per la donne provenienti da contesti socio-economici disagiati, i quali pongono ulteriori barriere al raggiungimento di una condizione di benessere.
Un sondaggio di Eurofound, dell’aprile 2020, condotto in tutta l’UE, al fine di evidenziare come gli europei stessero affrontando la vita nel periodo di pandemia, ha mostrato un aumento del telelavoro femminile, rispetto al periodo precedente. C’è da dire, però, che lo smart working nel periodo della pandemia sulle madri lavoratrici impatta in maniera maggiormente gravosa, esacerbando il conflitto tra impegni lavorativi e cura della famiglia. Se ne conclude che l’esperienza pandemica è vissuta in modo differente dagli uomini e dalle donne.
“In effetti, l’esperienza di altre crisi alla fine degli anni 2000, come la Grande Recessione e l’Ebola, mostra che le disuguaglianze di genere aumentano durante i periodi di turbolenza economica” (https://www.aiib.org/en/news-events/media-center/blog/2020/COVID-19-Infrastructure-and-Women.html). È dunque lampante che l’eliminazione della pervasiva disuguaglianza di genere nella società sia ormai una priorità. Lo conferma anche la pubblicazione, da parte della Commissione Europea, della “Strategia sull’uguaglianza di genere 2020 – 2025”. Si tratta di un impegno che dovrebbe garantire, in modo mirato ed efficace, sostegno a chi più ne ha bisogno.
Nel colmare il gender gap dev’essere coinvolta l’intera società civile. Indagini comparate evidenziano come nei Paesi in cui vi è una maggiore condivisione dei carichi familiari vi è anche una maggiore percentuale di donne che lavorano e un più alto tasso di natalità. Ciò apporta benefici sul versante economico. Addirittura, una ricerca della Asian Infrastructure investment Bank “Asian Infrastructure investment Bank. 2020. Impatto del coronavirus (COVID – 19) e sue implicazioni per le priorità infrastrutturali. (25 marzo).” ha costituito la base per prendere in esame la correlazione tra infrastrutture generali e sicurezza sanitaria, sulla base dei livelli di uguaglianza di genere. Sulla base di alcune congetture, tale correlazione è più forte nei paesi con più alta parità di genere.
Le indagini europee e gli studi di settore, hanno prodotto risultati tali da poter ritenere che incrementare la presenza femminile nel mondo del lavoro costituisca un moltiplicatore economico, giacché il lavoro delle donne determina a sua volta sviluppo di lavoro indotto. I possibili interventi di welfare, dunque, devono, agevolarne la tutela, partendo dall’assunto che maternità e lavoro sono due obiettivi tra i quali vi è una connessione.
“Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell’arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli, sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi.” (cfr. “Donne che corrono coi lupi”, Clarissa Pinkola Estés, PICKWIK).
Anna Rita Cancelli, docente. Laurea in Pedagogia conseguita presso Università del Salento con voto 110/110 e Lode; Master universitario di I livello in “Legislazione Scolastica e Management della Negoziazione” conseguito presso Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Perugia. Perfezionamento in “Storia della Filosofia” conseguito presso Università del Salento. Perfezionamento in “Psicologia di Comunità e Empowerment delle donne. Le identità di genere nell’epoca post-moderna” conseguito presso Università del Salento. Specializzazione biennale polivalente per le attività di sostegno conseguita presso Università del Salento. Partecipazione al corso della Provincia di Lecce per “Esperto dell’approccio integrato ai minori a rischio di devianze” nell’anno 1997. Operazione matematica preferita: la sottrazione.