Un nuovo lessico per una scuola inclusiva e motivante

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Dopo le grandi trasformazioni verificatesi nell’universo scolastico, in seguito all’impulso autonomistico, con l’art.21 della Legge 59/97 e il DPR 275/99, per oltre un ventennio, un flusso continuo di norme ha radicalmente modificato il sistema italiano di Istruzione e Formazione minandone le fondamenta per una vera e propria riedificazione, sull’onda di un ristyling della P.A, cui la Scuola è entrata a far parte, come erogatrice di servizi alla persona. 

 Negli anni a cavallo tra secondo e terzo Millennio il cammino normativo non si è certamente fermato e un nuovo lessico sociale si è imposto all’attenzione degli operatori della scuola; espressioni quali povertà educativa e quindi emergenza educativa, inclusione, equità, sviluppo sostenibile, pensiero divergente, società liquida, complessità, multiculturalità, accoglienza, cittadinanza attiva, globale, digitale ed europea; autoimprenditorialità, life long learning, competenze-chiave e l’elenco potrebbe continuare.

Sono espressioni strettamente concatenate tra loro e che stimolano una riflessione sia sociologica che pedagogica perché solo dopo avere letto la realtà, analizzandone i dati e con una solida progettazione di interventi su tutti i livelli, anche normativi, sarà possibile offrire impianti educativi modellati sui nuovi paradigmi sociali ed esistenziali.

Quando Bauman, già nel ‘99 parlava di società liquida, offriva un’immagine desolante della modernità, di una società dai contorni cangianti, fluttuanti, per afferrare la quale, per tuffarvisi, le nuove generazioni puntano alla standardizzazione, all’adesione a modelli uniformanti e colmano, quando possono, il loro vuoto identitario con una bulimia consumistica illusoria. 

Indubbiamente il cambiamento spaventa, fa percepire precaria la realtà, rende insicuri, fa crollare quelle forse già instabili impalcature cui poggia e si appoggia l’uomo moderno.

E allora, in questo scenario, quale aiuto, quali risposte ha dato e può continuare a dare la comunità educante, per fare della “liquidità” un’occasione, una prova di resilienza, per insegnare a convivervi, per trasformare il cambiamento in mobilità costruttiva, in forza di adattamento, in versatilità, in apertura mentale? Quale chiave può offrire la Scuola alle nuove generazioni, perché possano aprire il prezioso scrigno dell’autostima, delle capacità relazionali, delle abilità interpersonali necessarie per farsi largo nel mondo del lavoro? Come guidare un discente nell’autonoma costruzione di un progetto di vita, in un tale oceano sociale fondato sulla estrema rapidità di continui cambiamenti? 

Una prima strada da percorrere è quella dell’impegno alla costruzione di ambienti di apprendimento che siano realmente inclusivi, dove possano trovare espressione e dove riescano a rivelarsi quei talenti inespressi e sommersi dei discenti, spesso affetti da una povertà educativa che è frutto di carenze culturali. Esistono contesti familiari che non consentono un pieno sviluppo  dell’identità dei figli per evidenti svantaggi economici o per una inconsapevole miseria culturale di cui spesso non hanno percezione, perché retaggio di pregiudizi atavici castranti. 

Un solido impianto caratteriale, fondato sul senso di cittadinanza, sulla sensibilità a temi quali la sostenibilità, la solidarietà, l’accoglienza, il rispetto delle norme, la causa ecologica, la lotta alla xenofobia e alla violenza di genere, tutto ciò non può edificarsi all’interno di un contesto dove regna la precarietà e la necessità di dare risposte ad urgenze primarie quali sostenere le spese delle utenze domestiche, nutrirsi, gestire i problemi di salute, sbarcare il lunario per non perdere lo spazio abitativo.

A questa prima urgenza la Scuola deve dare una adeguata risposta, perchè rientra nella propria accountability, attraverso un’azione strategica di alta qualità.

Se il territorio rivela un disagio sociale, tutti gli attori della comunità educante devono sincronizzarsi; appare dunque chiaro che un Dirigente scolastico non può fare tutto da solo. Non esistono i supereroi. Esistono sistemi aggreganti che possono essere accomunati da una vision chiara e nitida e che attorno ad essa elaborano piani strategici per portare avanti una mission efficace e risolutiva. 

“Operazione inclusione” dunque, grazie ad una leadership diffusa che si propaga da una dirigenza il cui valore consta soprattutto di abilità di affiliazione, coordinamento, pianificazione e, soprattutto, costituzione di un middle menagement che sia intonato alla stessa logica inclusiva. 

Il punto di partenza è, come sempre, l’analisi ovvero la lettura delle emergenze del territorio: di cosa si soffre maggiormente? Carenza di personale qualificato? Assenza di attività culturali? Blocco occupazionale? Rinuncia al prosieguo degli studi e quindi abbandono precoce? Delinquenza minorile? Assenza di spazi ricreativi di aggregazione?

Sono tutti interrogativi cui la Scuola può dare risposte attivando un’azione orchestrale che coinvolga tutto il personale, perché la comunità scolastica possa coinvolgere l’utenza in percorsi scolastici curricolari ed extracurricolari mirati ad offrire soluzioni a quei problemi.

Per questo è preferibile adottare un modello di leadership diffusa cioè una leadership capace non solo di modificare, plasmare, trasformare l’assetto relazionale ed organizzativo ma anche di permeare di quella mission l’intero organico scolastico. Nell’identificazione di ogni attore nella mission, sta la chiave del successo: dare fiducia ad un progetto che si ritiene vincente.

Cosa bisogna esattamente fare? Intervenire su tutti i piani e a 360°: costruire un archivio delle competenze di ogni attore operante nell’Istituto, il “chi sa fare cosa” è utile al dirigente per capire di quante risorse dispone già e come accrescerne il numero progettando percorsi formativi che conferiscano nuove competenze; esplicitare nell’atto di indirizzo e nel RAV le finalità che la scuola intende perseguire; coinvolgere ogni componente del personale, docente ed ATA, nella definizione e declinazione di tutte le azioni da condurre.

Il nuovo lessico della scuola può dunque inserirsi pienamente in una sintassi costruttiva, motivante e certamente inclusiva per produrre un linguaggio educativo funzionale, ottimistico e gratificante. 

Giovannella Gennaro nasce a Catania il 1° luglio del 1965 e vive alle pendici dell’Etna dove svolge anche la sua docenza di Materie Letterarie, in una scuola alberghiera. Profondamente attratta da ogni espressione naturalistica, ama dedicare il suo tempo alla fotografia, al cinema, alla lettura e al viaggio. Fiera sostenitrice dei diritti umani, professa, con immutato vigore, l’avversione ad ogni forma di sopraffazione, xenofobia, razzismo ed integralismo. Ha ricoperto numerosi incarichi scolastici istituzionali quali F.S. al ptof, coordinatrice dipartimentale, referente Erasmus+, formatrice sulla progettazione di candidature Erasmus, beneficiaria di mobilità all’estero, in Spagna e in Finlandia, tutor di progetti PON. 

 

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