Introduzione
La società odierna, sempre più variegata e differenziata, è composta da individui che, iniziando da bambini, spesso faticano ad integrarsi con gli altri per motivi di diversa natura; questa è una delle cause per cui la scuola del presente, che si proietta nel futuro, non può che aprirsi all’inclusione.
Inclusione significa infatti “abbracciare”, far rientrare tutti in un insieme, in un unico gruppo, come può essere, appunto, una classe. Per parlare di inclusione, però, soprattutto in ambiente scolastico, occorre innanzitutto comprendere la distinzione tra integrazione e inclusione. Con “integrazione” si fa riferimento ad una relazione biunivoca tra il soggetto integrato ed il gruppo integrante, cioè si sottolinea il valore di uno scambio interattivo: il soggetto “integrato” riceve dal gruppo e a sua volta dà qualcosa al gruppo stesso; l’inclusione poggia su un’idea dell’apprendimento che porta ad una costruzione attiva e creativa delle proprie competenze, anche quelle diverse, che riesce a promuovere il benessere di tutti.
Inclusione non è assimilazione e adattamento passivo dell’alunno al modello definito dall’insegnante, ma è un incontro con l’altro, un momento di crescita individuale e collettiva, un processo continuo, quotidiano, in cui tutti gli insegnanti e i percorsi di apprendimento devono poter rispondere alle differenze dei vari soggetti, in un’ottica di sostegno distribuito, valorizzando le risorse presenti, collaborando tra persone con ruoli diversi, ma con obiettivi condivisi. Non basta integrare la diversità, perché bisogna valorizzare la ricchezza della differenza, adeguando, di volta in volta, gli ambienti, i comportamenti secondo ogni singolarità.
Includere (empowerment=coinvolgimento) è dunque più complesso che integrare; d’altra parte non può esistere “inclusività”, se si intende estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto, la partecipazione a un sistema o a un’attività, senza un’approfondita conoscenza delle motivazioni che la impediscono. Ricercare le cause che generano l’esclusione sta alla base per la costruzione di un efficace intervento che porta all’inclusione del soggetto nella comunità di cui fa e deve sentirsi parte attiva e apprezzata.
Una didattica inclusiva
Come già detto, il termine inclusione è usato particolarmente in ambiente educativo e con riferimento agli alunni disabili, i quali sono passai dall’esclusione completa all’inserimento e poi all’integrazione e infine, grazie anche ai Disability Studies, all’inclusione.
Secondo i Disability Studies, in effetti, bisogna tenere in maggior conto il possibile ruolo destabilizzante o inclusivo delle variabili interne ad un gruppo classe, uscire dall’idea di “abilità” che finora è stata alla base dei criteri di classificazione e valutazione degli alunni, la difficoltà stessa del linguaggio pedagogico e didattico, in riferimento alla disabilità, uscire da una logica “speciale”, e superare anche la divisione tra formazione dell’insegnante curricolare e di quello specializzato, attribuendo così la responsabilità professionale di un insegnamento rivolto ad ogni alunno a tutti i docenti: “Lo sfondo inclusivo si propone come spazio non specifico della disabilità, ma delle differenze intese come modo originale dei singoli alunni di porsi nell’apprendimento e nelle relazioni: sfondo che, pur riconoscendo la positività dell’esperienza integrativa degli anni precedenti, ne evidenzia anche gli attuali limiti e la necessità di superarne i presupposti”.
Il significato del termine didattica inclusiva è dunque da ricercare nella sfera educativa, sociale e politica, partendo dall’integrazione fino ad arrivare ad una reale inclusione degli alunni, in un contesto partecipativo e collaborativo. Per definizione la didattica inclusiva è quel “modus educandi” che nasce per garantire la comprensione del bisogno educativo del singolo e per mettere in atto di riflesso soluzioni funzionali, superando le rigidità metodologiche e le differenze di ogni sorta.
Come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e ribadito dalla Convenzione Internazionale per i Diritti dell’Infanzia (CRC), l’educazione è un diritto fondamentale, da garantirsi in funzione delle capacità e bisogni di ciascun bambino, senza che nessuno sia escluso a causa delle sue caratteristiche personali. La CRC, così come altri trattati internazionali specifici per alcuni gruppi quali donne, minoranze e persone con disabilità, sancisce infatti il diritto alla non-discriminazione e la necessità di tutela di tale diritto da parte degli Stati aderenti. Educazione ed educazione inclusiva sono dunque tematiche che devono essere affrontate dai Governi e dalle comunità attraverso un approccio universale e basato sui diritti, che assicuri a tutti i bambini reali opportunità di apprendimento e sviluppo. Quattro sono i pilasti di una didattica inclusiva:
- collaborazione: il principio dell’inclusione a scuola si concretizza solo in presenza di una forte collaborazione e co-partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel raggiungimento di un certo traguardo;
- progettazione: una didattica inclusiva è una didattica pensata, progettata e pianificata, sin da principio, sulla base delle variabilità individuali, per allievi normodotati, con disabilità, con bisogni educativi speciali, in forme di insegnamento personalizzato, multi-livello, perché ogni allievo affronta l’apprendimento a livelli e modi differenti;
- efficacia: una didattica inclusiva sfida gli insegnanti a sviluppare un vasto repertorio di strategie didattiche considerate efficaci, non solo per allievi con bisogni speciali, ma per tutti;
- valorizzazione delle relazioni ed emozioni: oltre alla dimensione dell’efficacia rispetto a scelte e azioni metodologico-didattiche da compiere, una scuola inclusiva non può dimenticare le competenze relazionali ed emotive.
La scuola, pertanto, e in particolare le classi e le sezioni dove è inserito un alunno disabile, in questa nuova prospettiva non può limitarsi a creare curricoli e svolgere percorsi grazie ai quali tale alunno può fare “il più possibile” quanto fanno gli altri, ma deve ideare dei percorsi in cui ciascuno, compreso il disabile, trovi il modo di sviluppare al massimo le sue potenzialità, trasformandole in competenze: percorsi comuni, con una tassonomia di obiettivi chiari e realizzabili, che ciascun alunno sarà in grado di raggiungere più, o meno, come verificherà poi il compito autentico con i suoi livelli.
La più recente normativa italiana è conseguente alla Legge 107/2015, nonché ai relativi Decreti attuativi, che fanno della promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e del riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione, l’obiettivo di fondo della scuola.
Strategie attuative
Se dunque una classe inclusiva deve essere rispettosa delle differenze di classe sociale, di genere, di etnia e di capacità, puerocentrica, protettiva, capace cioè di salvaguardare ogni bambino da bullismo e violenze, verbali e fisiche, familiare perché i genitori vengono inclusi nel processo educativo, la ricerca mette a disposizione degli insegnanti una serie di strategie e di approcci di grande interesse, sostenuti anche da buone prove di efficacia sulla scorta di un sistema di regole condivise.
Fra queste strategie inclusive, un ruolo di primo piano è sicuramente rivestito dalla “didattica collaborativa” nelle sue diverse forme, da quella cognitiva e metacognitiva, dall’educazione socio-emozionale e dall’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in funzione inclusiva. A questo proposito, l’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili ha elaborato il profilo del “docente inclusivo”, identificando quattro valori essenziali dell’insegnamento e dell’apprendimento sulla base dell’osservazione del lavoro dei docenti in classe:
- saper valutare la diversità degli alunni, considerando la differenza tra gli alunni una risorsa e una ricchezza;
- essere capace di sostenere gli alunni, aspettandosi da ciascuno il successo scolastico;
- saper lavorare con gli altri, perché la collaborazione e il lavoro di gruppo sono approcci essenziali per tutti i docenti;
- essere disposo ad aggiornamento professionale personale continuo, dal momento che la formazione in servizio è una responsabilità che dura tutta la vita.
Le strategie praticamente attuabili sono molteplici e spesso si basano sull’incentivazione di nuove modalità di apprendimento tra cui: l’integrazione della tecnologia nella didattica; l’utilizzo della LIM; il cooperative learning; la didattica metacognitiva; l’integrazione di arte e musica…
Si tratta di strategie volte a modificare in parte gli schemi e gli standard delle classiche metodologie di insegnamento, per far nascere all’interno della classe l’idea che la diversità non è un ostacolo, ma una risorsa. Sarà compito dell’insegnante valutare quale strategia è il caso di applicare in base alla situazione, ma le strategie volte all’inclusione più utilizzate nella scuola italiana, sono:
- Peer tutoring, cioè il coinvolgimento dei compagni nell’intervento educativo;
- Token Economy, che consiste nel rinforzare alcuni comportamenti positivi attraverso un “rinforzo” sempre più consistente, il token (figurina, adesivo, timbro ecc…). I token possono essere accumulati e scambiati;
- Prompting, che è la tecnica del suggerimento, che può essere verbale, gestuale, fisico, che inizialmente fa svolgere un compito per suggerimento o per imitazione, finché l’alunno diventa autonomo;
- Modeling, o modellamento, consiste nel far osservare all’ un altro soggetto che sta eseguendo un compito e farglielo ripetere, ma senza suggerimento verbale.
La lezione di Erickson
Ma già Erickson aveva individuato 7 dimensioni dell’azione didattica, su cui è possibile agire per incrementare i livelli di inclusione in classe e migliorare le condizioni di apprendimento di tutti gli alunni:
- la risorsa compagni di classe;
- adattamento come strategia inclusiva (es. l’adattamento di obiettivi e materiali è parte integrante del PEI e del PDP);
- strategie logico-visive, mappe, schemi e aiuti visivi;
- processi cognitivi e stili di apprendimento (attenzione, memorizzazione, pianificazione e
problem solving consentono lo sviluppo di abilità psicologiche, comportamentali e operative)
- metacognizione;
- emozioni e variabili psicologiche nell’apprendimento;
- valutazione verifica e feedback.
Bonaccini Silvia, classe 1972, laureata in Scienze della Formazione Primaria e Dirigente e Coordinatore dei servizi socio- educativi e scolastici, in servizio presso l'Istituto Comprensivo Venturino Venturi di Loro Ciuffenna (Ar), come docente di Scuola Primaria, ha svolto numerosi corsi di aggiornamento e laboratori propedeutici a diverse attività del settore scolastico. Nella sua carriera scolastica ha svolto il ruolo di capo sede, funzione strumentale della valutazione per molti anni, redatto il PON che ha fatto risultare vincitore il suo Istituto ed è tutt'ora membro del Comitato di Valutazione.