Nuovi spazi per l’apprendimento: come rinnovare il patrimonio edilizio delle nostre scuole.

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Un documento-manifesto per “un’Italia più forte, resiliente ed equa”. Così è stato definito dai suoi stessi autori il piano Colao, ovvero l’insieme di “iniziative per il rilancio 2020-2022” ideate dalla task force per l’emergenza. Il documento, predisposto da un comitato di esperti, consta di 121 pagine suddivise in 6 capitoli per altrettante macro-aree di intervento: Imprese e Lavoro, Infrastrutture e Ambiente, Turismo, Arte e Cultura, P.A., Istruzione, Ricerca e Competenze, Individui e Famiglie.

Dal codice etico dello smart working e l’accesso alla liquidità per le imprese in crisi, fino alla modernizzazione della scuola e della PA, passando per il sostegno alle startup, all’export e al settore del turismo, sono tante le questioni cruciali su cui si esprime il team di esperti.

Quanto al mondo dell’istruzione, della ricerca e del passaggio dall’educazione al lavoro, il piano prevede, tra le altre, la scheda 1 denominata “Rinnovare il patrimonio edilizio della nostra scuola”.

Un’ampia ricerca internazionale ha messo in relazione lo spazio con i processi di apprendimento collaborativi, motivanti e centrati sullo studente (OECD, 2015), con metodologie e situazioni didattiche in grado di sostenere attività differenziate con il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento previsti dalle competenze di base. Un ambiente di apprendimento è innovativo se è inclusivo e sicuro, capace cioè di accogliere le necessità e i bisogni di ciascuno perché pensato per favorire la partecipazione alle attività di tutte le studentesse e gli studenti.

In questa prospettiva, lo spazio scolastico si configura come “agente attivo” dell’azione didattica: il modo in cui è pensato e strutturato può favorire o meno la partecipazione di tutti. Una ricerca del 2006 del Ministero dell’Istruzione della Nuova Zelanda ha individuato due tipologie di fattori ambientali che incidono sulle performance degli studenti. In particolare, rispetto alle performance, sono considerati fattori ambientali “core” la qualità degli edifici, l’illuminazione, il riscaldamento, la ventilazione e l’acustica. 

I fattori ambientali che influenzano in modo “advanced” sono la strutturazione interna degli spazi (dagli arredi, alle trasparenze, a setting flessibili), la presenza di: ambienti per attività didattiche all’aperto, di vie di accesso e di spostamento all’interno e all’esterno della scuola, di luoghi sicuri, visibili e accessibili per la conservazione dei materiali didattici, l’uso del colore ai fini di orientamento e la tecnologia come strumento per ampliare le attività di apprendimento e insegnamento. Alcuni di questi aspetti risultano spesso una pura utopia in molte istituzioni scolastiche italiane. 

La rilevanza dei fattori di contesto nella progettazione degli spazi educativi è il cuore della proposta culturale dell’antropologo inglese Tim Ingold (2019), che invita architetti e progettisti ad abbracciare la prospettiva dell’abitare (dwelling perspective) più che del costruire (building perspective). Il design degli spazi non può non porsi il problema di chi li abiterà e di come verranno usati. Le Linee guida sull’edilizia scolastica (Indire, 2013) introducono un cambiamento di prospettiva rispetto al modo in cui progettare gli spazi proponendo l’idea di uno luogo scolastico flessibile e polifunzionale e una logica di tipo prestazionale: non indicazioni prescrittive su quanti metri quadri a studente, ma l’invito a progettare gli ambienti sulla base delle funzioni educative che devono assolvere, funzioni che sono strettamente connesse all’idea di scuola e di futuro che ogni istituzione ha in mente per la propria comunità. 

Malaguzzi era solito ripetere che lo spazio scolastico dovrebbe essere concepito come “una situazione di complessità morbida dove il soggetto è all’interno della collettività ma ha spazi di privacy, di pausa dal ritmo generale”. Lo schema dell’aula come unico riferimento spaziale per la didattica si rompe, quindi, a favore di un concetto di ambiente di apprendimento inteso come luogo “sicuro e arricchente, che riflette le differenze individuali di ogni studente nei bisogni formativi”. Un ambiente polifunzionale, multisensoriale, in una parola plurale, capace di sostenere attività didattiche differenziate e offrire una pluralità di mezzi di rappresentazione, di azione, di espressione e di coinvolgimento “essenziali per alcuni e utili per tutti”. 

A otto anni di distanza dalla pubblicazione delle suddette Linee guida, quante volte il mondo della ricerca e dell’istruzione si è domandato perché esistono ancora le aule di sostegno e perché ancora oggi la didattica si svolge prevalentemente in classe tra il libro, il quaderno e il docente che spiega?  Anche in presenza di un modello di scuola che ha superato la tradizionale organizzazione in classi a favore di una strutturazione per gruppi, la scansione delle attività didattiche, secondo criteri di personalizzazione, costituisce la base dell’organizzazione della giornata scolastica. Per questa ragione gli spazi della scuola dovrebbero prevedere arredi che possono essere usati come separatori per creare nicchie in cui svolgere attività in piccolo gruppo, individualmente o in coppia, in affiancamento a un proprio pari o al docente. 

Questa divisione dello spazio in “zone” dovrebbe essere sostenuta anche dalla presenza della tecnologia, come già previsto dal PNSD. Videoproiettori e schermi interattivi dovrebbero essere collocati lungo le pareti, in modo da accompagnare qualunque situazione didattica: attività di presentazione, discussione, momenti di input da parte dei docenti. La disposizione di tecnologia e dispositivi didattici costituisce uno degli elementi di qualità per uno spazio capace di influenzare positivamente le performance degli studenti.

Anche l’attività di ricerca di Indire, sul tema delle architetture scolastiche in generale e su quello specifico degli spazi in relazione all’inclusione, si è sviluppata a partire da alcune esperienze realizzate nel Nord Europa. Nel nostro Paese, tra le esperienze più avanzate segnaliamo Reggio Emilia Approach, ma anche nelle province di Bolzano e di Trento abbiamo esempi significativi di grande portata innovativa. Si tratta di edifici scolastici progettati e costruiti a partire da una corretta visione pedagogica. Vedere, in queste realtà, fotografie e video di arredi e spazi open space fa un effetto addirittura “fantascientifico”. 

Siamo tutti consapevoli della necessità di affrontare questo tema in modo radicale e su scala nazionale, ma la materia dell’edilizia scolastica è molto complessa ed è sottoposta a diversi passaggi burocratici e istituzionali; tuttavia, possiamo modificare le nostre scuole anche con poco e con le risorse disponibili. In https://architetturescolastiche.indire.it/,  il sito web Indire dedicato a questi temi, si possono vedere diversi esempi di scuole, delle quali alcune ristrutturate come la scuola di San Filippo di Città di Castello. 

Dato, però, che ho la fortuna di vivere in Sardegna, vi segnalo, se volete sognare una scuola in cui vorremmo portare e accogliere tutti i bambini, l’incredibile realtà, ahimè privata, dell’UP-School di Cagliari https://upschool.it, delle sue fantastiche sedi e del suo rivoluzionario approccio, il cui progetto didattico, innovativo nelle metodologie e nei contenuti, è caratterizzato da una serie di attività e percorsi che rendono l’esperienza educativa in UP SCHOOL più ampia e completa rispetto a quella delle scuole tradizionali, unica sotto ogni aspetto.

Dovremmo prendere spunto da queste eccellenze e iniziare non solo a progettare spazi innovativi dal punto di vista architettonico e fisico, ma anche a vivere questi spazi con metodologie, strategie e prassi educativo-didattiche nuove. Per fare ciò, la scheda n.1 del Piano Colao, “Rinnovare il patrimonio edilizio della nostra scuola” individua anche target raggiungibili e finanziamenti notevoli (15 milioni di euro per ogni nuovo edificio scolastico, 9 milioni per la rifunzionalizzazione di ogni edificio esistente e 6 milioni per la manutenzione straordinaria di ogni edificio scolastico). Cifre da capogiro che non dobbiamo rendere vane.  

La scuola pubblica presenta grandissime opportunità e eccellenti risorse professionali che non vedono l’ora di migliorare l’offerta formativa e presentarla al territorio, anche con spazi accoglienti, sicuri, flessibili e realmente funzionali all’apprendimento.

Barbara Letteri goriziana di nascita, vivo e lavoro a Sassari. Psicologa e pedagogista. Docente MIUR, Professore a contratto in Tecnologie per l'apprendimento e Cultore della materia in Didattica e Pedagogia Speciale presso l'Università degli Studi di Sassari. Componente Equipe di lavoro, ricerca nazionale e referente regionale Sardegna ONSBI (Osservatorio Nazionale Salute e Benessere degli Insegnanti) della LUMSA di Roma. Libera professionista e formatrice anche presso Centro Phare Phychè Sardegna e Consorzio universitario Humanitas di Roma.  Collaborazione con la società TaMaLaCà, spin off della Facoltà di Architettura di Alghero.

 

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