“E.T. Telefono casa”: io un alieno nel mondo della scuola digitale!

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La  continua innovazione tecnologica nell’era della globalizzazione ha trasformato ogni aspetto della realtà che ci circonda in un mondo “digitale” dove tutto viene tradotto in una struttura di dati, smaterializzando le nostre vite fino a superare le barriere dello spazio e del tempo.

E su questo nuovo “pianeta” vivono persone come me che faticano ad accettare la velocità con cui si entra nelle esistenze di ognuno a tutte le ore e in ogni luogo.  Non che sia una troglodita che non sa usare i mezzi tecnologici, ma ho le mie convinzioni: sono una persona che preferisce relazionarsi, lavorare e crescere stando tra la gente.Sono, infatti, una docente d’italiano in due classi prime della scuola primaria costituite da un totale di 41 bambini di circa sei anni che al mattino pendono dalle mie labbra, da tanti occhietti curiosi che mi fissano ogni giorno per avere affetto, approvazione e gratificazione. Intanto per l’emergenza coronavirus che ha stravolto il mondo, dopo anni di esperienza con le mani sporche di gesso, di colla e d’inchiostro, sono chiusa in casa, come del resto tutta l’Italia, in quarantena e svolgo il mio lavoro stando davanti ad uno schermo.Infatti, con decreto del Consiglio dei Ministri dell’8 aprile, per la straordinaria urgenza di contenere l’epidemia del COVID 19, la didattica a distanza diventa obbligatoria e si dispone: “In corrispondenza della sospensione il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza”.

Nonostante usassi il computer per la parte più ingrata del mio lavoro, quella burocratica, oggi mi sento un marziano che cerca di connettersi con il mondo che sta fuori, del tipo “E.T. TELEFONO CASA”.Faccio parte di coloro che considerano il cellulare come un mezzo di comunicazione che va usato in modo discreto e la sua proibizione a scuola mi ha tranquillizzata ritenendo che i ragazzi debbano stare di più con i piedi per terra.Intanto di fronte alla diffusione del digitale, in questa straordinaria circostanza sono consapevole che la scuola debba fare la propria parte offrendo pari opportunità a tutti e promuovendo competenze adeguate per formare un cittadino attivo, responsabile e resiliente.Ebbene, il mio coinvolgimento come docente nella nuova avventura di una Didattica a Distanza è oggi una sfida per rispondere alle mutate esigenze contemporanee.Se dovessi spiegare la mia percezione circa questo nuovo modo di fare scuola, posso solo affermare che improvvisamente mi sono trovata a vivere in uno spazio virtuale di una piattaforma didattica.

Insomma d’un tratto ero un alieno su un pianeta sconosciuto, mentre la mia casella di posta elettronica continuava a riempirsi di mail su come avviare una didattica a distanza. Bene, sicuramente non sono una nativa digitale come mio figlio adolescente che continua a guardarmi con pazienza e derisione mentre cerca di spiegarmi che oggi la nuova tecnologia rappresenta un’estensione di se stessi, una nuova forma di comunicazione per relazionarsi in ogni momento con “ciò che sta fuori”.Immagino anche di non essere la prima né l’ultima docente ad essersi sentita fuori dal mondo. Preciso di nuovo: ho bambini che stanno imparando a leggere e a scrivere! Se tutto ciò si rivela destabilizzante per ragazzi della secondaria, lo è maggiormente per discenti dai sei ai dieci anni. Pertanto ho dovuto reinventarmi per porre le basi di un modello didattico sempre più inclusivo a partire da una cultura di rete che coinvolgesse i bambini e soprattutto i genitori.Di certo benedetta la formazione nonostante ci appaia sempre come una scure che ci viene calata sulla testa!  Dalle ultime ricerche in vari campi, si evidenzia che crescere i bambini in un mondo digitale li porta a creare nuovi modelli di cittadinanza globale, di connessione e comunità. 

Quindi, anch’io mi sono messa in gioco scegliendo la strada della sperimentazione e della ricerca-azione mediante un nuovo spazio di ricerca comune, di confronto e discussione, partendo dalla rimodulazione della progettazione delle attività didattiche che non perdesse di vista la formazione armonica dei discenti.La mia prima difficoltà è stata quella di far capire a dei bambini ancora piccoli che non esisteva più la lezione in aula inteso come spazio concreto in cui muoversi, interagire per condividere e confrontarsi. Una novità che necessariamente ha dovuto coinvolgere i genitori, non solo in quanto i soggetti interessati sono minori, ma perché questi vanno coadiuvati nell’utilizzo delle nuove tecnologie.Sono partita semplicemente con un primo contatto telefonico con i rappresentanti di classe a cui ho spiegato cosa comunicare a tutti gli altri per avviare una didattica a distanza.

Avete idea di cosa possa essere successo sul gruppo-genitori della chat di WhatsApp? 

Immaginate me, alieno, che tenta di spiegare nel modo meno traumatico possibile, ai genitori di bambini che stanno imparando a scrivere in corsivo, a leggere e a far di conto, la necessità di avere un contatto virtuale per continuare l’anno scolastico.Ho dovuto instaurare un diverso rapporto con le famiglie fondandolo su una maggiore fiducia reciproca ed una massima collaborazione perché ritengo che “la didattica a distanza” costituisca un labirinto in cui un bimbo possa facilmente perdersi rispetto ad un livello di relazione favorito principalmente dalla comunicazione in presenza.Così da un giorno all’altro ho guidato me e le mie 41 famiglie, attraverso tutorial e scambio di messaggi, ad attivare la piattaforma COLLABORA sul registro elettronico AXIOS nella prospettiva del life-long learning. Sono partita prima con il caricare lezioni audio in cui ho posto l’attenzione principalmente sul percorso emotivo che i discenti di sei anni stanno affrontando e poi sui contenuti veicolati. Ho provato a trovare le parole giuste attraverso racconti, fiabe, favole e filastrocche, giochi e suggerimenti per affrontare una tematica delicata quale la quarantena e per dare voce alle loro emozioni nel rispetto dello sviluppo delle competenze. Si perché sono convinta che ora non ci debba essere la preoccupazione di svolgere il “programma” in quanto  aumenta il disagio dei discenti ed aggrava una situazione che ha del surreale. 

Ciò che resta fondamentale è mantenere saldo il senso di appartenenza al gruppo-classe oltre che all’istituzione scolastica. Quindi, registra spiegazioni, riascolta, aggiungi materiale di letto-scrittura sotto forma di gioco, archivia, condividi. Ricevi risposte, correggi e rinvia. Poi videolezione!! Un altro patatrac! E per i signori genitori la fase 2: entrare in videoconferenza mediante Jitsi Meet! 

  • No maestra dal registro non riusciamo. Ci riporta indietro. Non si apre. Scarichiamo la piattaforma sul cellulare, sul tablet, sul computer. 

Mi sono più volte chiesta se fosse il caso di cambiare piattaforma, ma mi sono apparsi tutti così disorientati che ho trovato difficile includere altre informazioni. Quindi sono andata avanti, imperterrita allo scopo di dare loro solidità, conferme e non ulteriori incertezze. Quindi, passato lo choc:

  • Ok, perfetto. Nome stanza, scollegate i microfoni, mi sentite, no non mi sentite, mi vedete, tu si, tu no.

Ed ecco che si riaffaccia l’alieno che è in me e che dice “E.T. TELEFONO CASA”!

A fine giornata, resta la gratificazione di aver cercato di generare empatia con i partecipanti alla mia classe virtuale, di aver suscitato risate, entrando in punta di piedi nelle loro case, nel guardare emozionata le loro vite svolgersi in una cameretta, in una cucina, in uno studio che fanno da sfondo. I miei compagni di viaggio, bimbi e genitori con cui ho fatto squadra, sono il motore di questa DIDATTICA A DISTANZA  e l’alieno che vive in me si seda e risponde loro con gratitudine “E. T. TELEFONO CASA” per aver trovato insieme il modo per tenderci una mano ed abbracciarci oltre lo schermo. 

Mariarita Schiavone, nata ad Aversa (CE) il 30/01/1968 ed ivi residente, in possesso di: diploma di maturità conseguito presso il Liceo scientifico E. Fermi di Aversa, diploma conseguito presso istituto magistrale Iommelli di Aversa, diploma polivalente per l’insegnamento agli handicappati nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria presso istituto S. Caterina di Capua, laurea in giurisprudenza presso l’università degli studi “Federico II” di Napoli, abilitazione all’insegnamento in Diritto ed economia per le scuole superiori, master di II livello per la funzione dirigenziale nelle istituzioni scolastiche, corso di perfezionamento sulla funzione ispettiva e direttiva nelle scuole. Vincitrice dei concorsi per titoli ed esami su posto comune per la scuola primaria e per la scuola dell’infanzia nel 1990, insegnante nella scuola primaria prima nella provincia di Caserta, poi in quella di Napoli, oggi è infine titolare al 38° c.d. “Quarati” di Napoli. Attualmente in assegnazione provvisoria presso I.C. Parente di Aversa. 

  

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