“Ma oggi c’è storia? Che barba, professore! Ma, poi, a che serve? Se voglio sapere qualcosa c’è internet!”
Questa, nel caso migliore e più edulcorato, è la risposta pragmatica che, penso, ogni docente di storia – in quella che un tempo era la Scuola Media (e si perdoni il linguaggio ‘antico’, ma sono storico) – si sente dire dalla platea degli alunni.È pur vero che i ragazzi non hanno la preparazione di base per poter affrontare un discorso impegnativo partendo dalla grande incompiuta di Bloch, anche se – adeguatamente preparati – potrebbero interagire positivamente con questo testo bellissimo, ma … adeguatamente preparati, dicevamo. E allora?Personalmente trovo molto utile prendere alla lontana la questione, partendo eventualmente dalla testimonianza dello studente sumero bacchettato per ogni cosa dai vari maestri. Ciò infatti, oltre a far capire ai discenti la differenza con l’oggi, permetterebbe di partire da una fonte, da un quid, che, anche se per loro ignoto, unito al quomodo, a mano a mano porterebbe verso una luce progressivamente più chiarificatrice. Questa è, per l’appunto, la luce della conoscenza storica, di quell’ispezione visiva, insita nel termine greco historìa, che connota la storia come scienza dotata di etica e di una moralità fondamentale per la crescita civile e morale delle nuove generazioni, secondo il duplice significato formativo e conoscitivo proprio della scuola.
Certo, lasciando da parte la questione docimologica, che ora non ci interessa, il ruolo di mediatore del docente rimane fondamentale per costruire un viaggio coinvolgente capace di creare un raccordo culturale e interdisciplinare. Questo giocoforza deve essere caratterizzato da un approccio euristico e dallo sforzo ermeneutico delle fonti, che – fermo restando lo storico principio primum vivere, deinde philosophari – potrebbe partire anche dalla ricostruzione di una storia locale sommersa, per arrivare, in una terza media, alla raccolta di fonti orali e alla loro registrazione, magari in sintonia con un modello pedagogico-didattico figlio del costruttivismo della conoscenza. Infatti, l’alunno coglie la realtà storica sulla base di un duplice binario di ricerca e di interpretazione:
1) la storia è movimento e quindi ha insito un percorso di permanenza e mutazione;
2) il passato non può essere estraneo, ma in un qualche modo entra a far parte del nostro essere e del nostro presente.
Qual è, quindi, il messaggio centrale da far gradualmente comprendere ai discenti, ma anche ai colleghi che – presi dalla stanchezza o dal finire per forza un ipotetico “programma” – spesso sacrificano o compattano le ore di questa disciplina?Il messaggio più importante sta nella consapevolezza che l’atto del comprendere è già di per sé operare una mediazione tra il passato e il presente sviluppando nel proprio essere una serie continua delle prospettive attraverso cui il passato si presenta e si rivolge a noi. Non tanto per la sua interdisciplinarità, bensì per l’incessante confronto tra punti di vista metodologici diversi (storici, archeologici, artistici, scientifici, geografici, letterari), nell’ottica di costruzione e formazione di una identità civile comune europea o con prospettive ancora più vaste.
Particolare importanza rivestono i temi della memoria, della identità e delle radici, i quali dovrebbero essere affrontati e discussi, in maniera collegiale a livello di comunità educativa intera; proprio questi temi, infatti, sono i migliori ‘laboratori’ di storia versus la classica metodologia laboratoriale che spesse volte si traduce in un trasferimento fisico di alunni verso i cosiddetti laboratori che altro non sono se non altre aule, magari dotate di una LIM o del corredo di qualche cartina in più.Questo momento collegiale – che può essere inteso, e perché no, anche come telematico (visto il nostro odierno smart working) o di DAD – presenterebbe la storia non solo come mera disciplina di studio, ma diventerebbe quasi un luogo della rappresentanza delle diverse identità multiculturali di un Paese. Si potrebbe obiettare che ciò potrebbe sminuire il carattere formativo o l’efficacia nell’agire educativo.
Non è così! Non lo è perché, per la sua specificità, la storia ha le fondamenta proprio nelle diversità dei gruppi umani e nella diversa natura dei soggetti che la costituiscono. Nessuna materia, quindi, permette più della disciplina storica una didattica pluralistica che sappia – e anzi debba – praticare strade diverse di insegnamento, confrontando le diverse società e la portata di fatti di grande ampiezza temporale e geografica.Come comunità educativa noi tutti siamo chiamati a progettare o individuare percorsi curriculari che siano quanto mai aderenti alla realtà del territorio, alla platea dei discenti (dato più importante) e che seguano comunque le Nuove Indicazioni. Si deve insomma impostare una nuova progettazione didattica, anche innovativa e sperimentale (noi docenti per il nostro stesso scopo educativo siamo e dobbiamo essere sperimentatori) da un punto di vista di curriculo formativo, che necessariamente, per le singole scuole, deve scaturire dai Consigli di Classe e dal Collegio dei Docenti, col necessario coinvolgimento delle Funzioni Strumentali, e liberamente può essere migliorata in itinere dai singoli docenti con una pianificazione progettata e discussa nei rispettivi Dipartimenti.
Quello che è infatti richiesto è non solo una qualità dell’insegnamento, ma anche una sinergia proficua e collegiale tre le varie componenti scolastiche, per la creazione di un sistema complesso e integrato del sapere con numerosi spunti di discussione e ricerca-azione.Se, come diceva Zannini, l’insegnamento della storia era basato su un tripode (manuale, lezione frontale, interrogazione orale), oggi, e non parlo solo per storia, non solo sono cambiati i manuali – e spesse volte in peggio a causa della eccessiva semplificazione (ma gli alunni non debbono imparare a ragionare e saper affrontare i problemi trovando varie soluzioni?) o a causa della necessità di ridurre importanti passaggi storici a concetti chiave, spesse volte decontestualizzati o assolutizzati (ma non sarebbe forse il caso di ritornare alla vecchia concezione per cui i ragazzi sviluppavano le loro abilità trasversali e selezionavano le informazioni più importanti?) – ma è cambiato o sta cambiando il come si insegna.I manuali odierni non hanno più quella connotazione autorale che li faceva appellare con l’articolo determinativo davanti (con il marchio inconfondibile spesse volte anche ideologico dell’autore e dell’insegnante che li proponeva) e non presentano più solo una narrazione in chiave lineare, ma presentano, nel caso migliore e auspicato, una molteplicità di apparati didattici – con il superamento dell’ottica eurocentrica (che rispecchia anche la eterogeneità delle classi e valorizza maggiormente il pluriculturalismo) – e l’articolazione in macro-sezioni e apparati di corredo che sono gli e-book.
Eccezion fatta per alcuni libri di buon livello, non di rado la maggior parte tende ad essere solo una versione online del libro e ciò pregiudica moltissimo la ricchezza stessa di un e-book e la sua stessa ragion d’essere, obbedendo, quindi, solo formalmente al DL 112/2008 (e quindi alla L. 221/2012 e al DM 781/2013, in particolare All. 1).Ritorniamo quindi alla domanda iniziale “Ma oggi c’è storia? Che barba, professore! Ma, poi, a che serve? Se voglio sapere qualcosa c’è internet!”Chiarita la prima parte della domanda, passiamo alla seconda parte … effettivamente ci sono le TIC e c’è il web, croce e delizia.Il web può e deve diventare uno strumento e un ambiente di apprendimento tramite i diversi device: sta a noi docenti far comprendere ai discenti i rischi e le immense potenzialità, abituandoli a lavorare in maniera proficua e ottimale, anche sulla base del PNSD, anticipato da Indire col portale Scuola Valore e col progetto Didatec. Il web, assieme alla libertà offerta dal MIUR con la circolare 2013 di non adottare libri cartacei e utilizzare semplicemente i contenuti digitali in rete, pone una sfida che è, per l’appunto, quella di realizzare anche con gli alunni “il” libro di testo ritenuto, classe per classe, il più efficace e adeguato, anche mediante un lavoro – questo sì davvero laboratoriale – di approfondimento e ricerca, utilizzando magari poi un CMS (Content Managment System) o un editor specifico (Academia o ePubEditor), mentre per i DSA, BES e DVA, sarebbe interessante l’utilizzo di software come Timeline JS, Timetoast, Myhistro, Crowdmap eccetra.
Un passo in avanti, seppur modulato e cadenzato in attesa di una vera scuola smart o interattiva, è quello che l’apposita commissione ministeriale sta valutando, cioè l’uso degli smartphone in classe che, adeguatamente normato e regolamentato, permetterebbe una fruizione/interazione immediata da parte di tutti gli alunni. Ciò ovviamente, amplificando moltissimo il concetto di cooperative learning, permetterebbe di superare l’ostacolo del computer unico in classe o del trasferimento nel laboratorio informatico e permetterebbe ai ragazzi di acquisire una consapevolezza nell’utilizzo dei device e delle potenzialità del web. Il punto focale rimane comunque il lavoro di reperimento, su piattaforme scientifiche e adeguate, del materiale storico, la verifica e scrittura/riscrittura del testo, affiancando quindi alla webquest (cioè la ricerca sul web, strutturata in modo che l’alunno usi bene il proprio tempo, focalizzandosi su come usare le informazioni per supportare il suo pensiero di analisi, sintesi e valutazione del dato) gli strumenti per una ricerca effettiva e sicura sul web e introducendo l’uso di alcune applicazioni del pacchetto Office.
Tutto ciò, quindi, permette di approfondire in modo interessante e coinvolgente gli argomenti disciplinari con un approccio non solo più vivo, ma anche con:
- pratiche di didattica ‘dal basso’, di didattica ‘partecipativa’ e di cooperative learning;
- approccio per i discenti al lavoro con documenti, con progressiva consapevolezza e senso critico, sviluppando quindi non solo le conoscenze, ma anche le competenze fondamentali per lo sviluppo di un sapere consapevole;
- sviluppo di abilità trasversali (capacità di prendere appunti e redigere vari testi con progressiva difficoltà a scalare)
- sviluppo di varie competenze digitali.
In particolar modo nella DAD, queste strategie (non dimenticando mai che il nostro tripode è: preoccuparci di fornire delle basi, delle coordinate e delle conoscenze), assieme a quelle che di volta in volta il docente decide di sperimentare e mettere in atto, rappresenteranno un passo ulteriore e in più nella costruzione di una scuola inclusiva per tutti, plurale e di ‘qualità’, che sia in grado di affrontare le sfide future, mantenendo ben saldi i classici principi di humanitas che caratterizzano la nostra professione docente.
Francesco Li Pira, di Nocera Inferiore, laureato cum laude in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II (2005) ha conseguito, nel gennaio 2009, il dottorato di ricerca (PhD) in Storia medievale presso il medesimo Ateneo; borsista (2006/2007) presso l’Istituto Italiano di Studi Storici, si è diplomato presso l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo di Roma alla I Scuola storica nazionale per l’edizione delle fonti documentarie (2009-2010), della quale è stato borsista annuale; borsista presso le Archives Nationales di Parigi e il CNRS allo stage di diplomatica medievale (GDR3177 <Diplomatique>), è stato borsista triennale (2011-2014) del Centro Universitario Cattolico della CEI.È membro dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini, della Associazione Italiana Paleografi e Diplomatisti, della Società Napoletana di Storia Patria, del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, della Società Salernitana di Storia Patria. Docente abilitato in Sostegno e in Materie Letterarie - per le Scuole Secondarie di I Grado, i Licei e gli Istituti Superiori - dal 2016 è docente di ruolo presso l’I.C. Via Frignani di Roma.È Cultore della materia (Storia Medievale) presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. È autore di numerosi articoli su importanti riviste specialistiche, nazionali e internazionali