Quando, poco prima di Carnevale, si è cominciato a parlare di Coronavirus come possibile pandemia che avrebbe coinvolto anche l’Italia, nessuno aveva in mente quello che realmente sarebbe accaduto. Tutti avevamo la percezione che sarebbe stato un qualcosa di lontano e, in qualche modo, risolvibile in tempi, se non brevissimi, abbastanza contenuti. Così non è stato. Verso la fine di febbraio è arrivata la consapevolezza che quel che era accaduto in Cina, sarebbe potuto accadere anche in Italia ed in altri Paesi dell’UE.
Quando ancora si andava a scuola, parlavo con i miei studenti di questa nuova epidemia che spaventava il mondo e raccomandavo loro di non bere dalla stessa bottiglia, di lavarsi spesso le mani e di avere riguardo in caso di sintomi influenzali nei confronti di chi stava loro vicino. Nessuno pensava che le scuole sarebbero state chiuse e, anche quando questo è successo, si pensava per un tempo breve.Mano a mano che la consapevolezza di ciò che stava accadendo ha preso il sopravvento sulla falsa illusione di una “bufera passeggera”, molti docenti si sono preoccupati di come fare arrivare agli studenti nozioni e compiti. Pochi si sono chiesti che cosa significasse questa nuova situazione inimmaginabile per i ragazzi e i bambini di ogni età. Io sono andata con la mente al mio passato da studentessa.Ricordo che per molti giorni, dopo la chiusura estiva della scuola, mi dedicavo a fare i compiti e, nel tempo libero, a rivedere i miei compagni che, come me, non avevano la fortuna di partire subito da Milano per andare al mare o in montagna. Questo ricordo mi ha fatto riflettere. Io, alla fine della scuola, sentivo la mancanza di quelle ore di lezione che, magari al momento mi stufavano ma che facevano parte della mia vita quotidiana.
La scuola, per me, non era solo un luogo in cui trascorrevo una buona parte delle mie giornate ma era, soprattutto, il luogo in cui soddisfacevo il mio bisogno di rapporti sociali con coetanei. Allora mi sono posta la domanda di come oggi vivano questa realtà, quasi onirica, gli studenti. I bambini della scuola primaria, si sono trovati, da un giorno all’altro, ad essere costretti a stare in casa, i più fortunati, a giocare con i fratelli e con le sorelle, gli altri da soli.I ragazzi della scuola media, che hanno appena conquistato da poco l’indipendenza di uscire da soli con gli amici, a non poterlo più fare. Ai giovani della secondaria di secondo grado, realtà in cui io insegno, è stato vietato di uscire la sera, di partecipare alle feste di compleanno, di frequentare luoghi di ritrovo a cui erano abituati. Mi chiedo “Questa realtà che sembra un incubo come è percepita da loro? Da tutti loro?”Ricordo che dato che i miei lavoravano, quando ero alla scuola primaria, per me era una festa andare ai giardinetti nelle domeniche di sole. Come avrei reagito se questo mi fosse stato negato? Quando frequentavo la scuola media, mi ritrovavo con i miei amici in “piazzetta” per parlare di tutto ciò che ci accadeva. Che delusione avrei provato se non avessi più potuto farlo? Al liceo, poi, le feste, le prime uscite con chi aveva la macchina… come avrei vissuto la loro proibizione?
Così ho deciso di parlare di questa cosa con i miei studenti che, ripeto, sono ragazzi tra i sedici e i diciannove anni, qualcuno venti. Pensavo fossero pieni di rabbia e che la scuola fosse il loro ultimo pensiero. Mi sbagliavo. I ragazzi mi hanno stupito ancora una volta, come sanno stupire solo loro. Si sono dimostrati molto più maturi e responsabili di quanto mi aspettassi. Certo, sono dispiaciuti di non potersi incontrare ma sono consapevoli della inevitabilità dei provvedimenti.Ho percepito la loro vulnerabilità emotiva ma, anche, la loro certezza di un lieto fine, anche se non immediato. Sono presenti alle video lezioni, intervengono nelle conferenze, rispettano le consegne. In altre parole, stanno dimostrando una profonda consapevolezza della situazione che stanno vivendo. Quando ho cercato di rassicurare i ragazzi di quinta, dicendo loro che sarebbero tutti stati ammessi all’esame di stato, mi aspettavo una reazione di sollievo ma non è stato così.
Mi hanno dimostrato di avere acquisito verità fondamentali che li accompagneranno per tutta la loro vita. Hanno capito che la vera conoscenza va al di là del voto, che la si dimostra sul campo, che la scuola ha il compito di formare persone responsabili e, non solo acculturate. Come hanno fatto a dimostrarmi tutto questo? Semplicemente aiutandosi gli uni con gli altri, trovandosi in videoconferenza tra loro e con compagni DVA, per non farli sentire soli.Stanno addirittura organizzando una festa online per un compagno con problemi, i più bravi si stanno dividendo i compiti per non lasciare nessuno indietro. Stanno parlando di una grande festa alla fine di questo incubo tra docenti e studenti. In poche parole stanno andando avanti, nonostante tutto. Non si sono fermati, non si sono scoraggiati e non hanno intenzione di scoraggiarsi. Io credo che sia ora di smettere di guardare gli studenti in modo unilaterale.
Io penso che questo sia il momento di andare al di là dell’apparenza, sia il momento di valorizzare queste qualità che, spesso, noi docenti, facciamo fatica ad intravvedere, preoccupati solo di portare a termine il programma didattico. Io penso che questo sia il momento di essere fieri dei nostri alunni e anche di noi stessi perché, se sono così, un po’ di merito è anche della scuola, quindi, è anche nostro.Questo periodo ci serva per prendere consapevolezza che il lavoro dell’insegnante va ben oltre il suono della campanella e che, qualunque cosa si dica, è il lavoro più bello che si possa fare.
Emanuela Rosina nasce a Milano, nel 1961, si laurea in Lettere Moderna all’Università degli Studi di Milano. In seguito consegue i seguenti Master “Didattica della Lingua italiane”, “Storia del Novecento”, presso l’Università di Tor Vergata a Roma, “Esperto in didattica assistita dalle nuove tecnologie”. “Tecnologie della Didattica” e “Digital strytelling” al Politecnico di Milano. Ha diversi tipi di esperienza di insegnamento: negli anni si trova ad insegnare: religione, sostegno e lettere alla scuola secondaria di primo grado. Attualmente è Docente di Ruolo di Letteratura e Storia all’ITAG “Italo Calvino” di Noverasco di Opera, in provincia di Milano. E’ appassionata di Filosofia Antica