VECCHI E NUOVI SCENARI DI UNA RIFORMA TRADITA RIPENSARE  L’AUTONOMIA

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Chiunque lavori nell’ambito del sistema scolastico italiano sa che ogni volta che si insedia un nuovo ministro, dovrà correre più veloce delle riforme e dello sciame di note e circolari esplicative che ne conseguiranno. Ma il peggio è che, nella maggioranza dei casi, ai proclami di cambiamento non è detto corrisponda alcuna autentica e profonda innovazione. 

 E se in tale scenario, le riforme della scuola, sono state spesso avvertite come vere e proprie sciagure, la legge n. 59 del 1997 e il D.P.R 275, del 1999, un’idea condivisa dal basso, prima ancora che un’azione, attraverso un dibattito sentito, seppero ridisegnare il sistema di istruzione del nostro Paese, in un contesto generale che cercava di affrancarsi dalla lentezza e macchinosità di una burocrazia da primissima Repubblica, ancora connotata dalla necessità e dai limiti di un’unione giovane. Tuttavia, a distanza di vent’anni, la legge quadro dell’autonomia scolastica e il suo regolamento, restano la riforma più rivoluzionaria del sistema di istruzione che, fondandosi sui concetti di libertà e responsabilità, sintetizzando e facendo convergere un ampio arco di ideologie, coerentemente col dettato della Costituzione, di valenza intrinsecamente pedagogica, metteva al centro dell’azione formativa la persona.

Un impianto nuovo che, grazie anche al D.P.R. 416/1974, sul riordinamento degli Organi Collegiali, rompeva il vecchio ordine gerarchico, verticistico, ingessato dalla burocrazia e, dando voce al Titolo V, riformato nel 2001, introduceva l’autonomia che a muovere dall’entusiasmante etimologia, in quell’unione αὐτός "sé stesso" e νόμος "legge", si prefiggeva di aprire il suo orizzonte all’autodeterminazione. La scuola assumeva, così, la forma di un’istituzione sociale e di conoscenza, diveniva luogo di relazioni, collocato nel territorio e aperto al dialogo con gli Enti Locali. La premessa ideale, sembrava, per quella svolta federalista mai attuata che oggi qualcuno anela a tradurre, non senza rischi, nel regionalismo differenziato, forse secondo uno spirito più di separazione, che di unione, sicuramente in contrasto con il carattere di nazionalità e unitarietà del sistema di istruzione, sancito dalla Costituzione. 

Intanto, col primo passaggio l’impronta verticistica lasciò il passo ad una organizzazione orizzontale, effettivamente votata all’autogoverno, sia per quanto atteneva l’ambito didattico, che quello amministrativo, gli organi collegiali, secondo un’idea di partecipazione estesa a tutti i soggetti protagonisti del processo di insegnamento-apprendimento, divenivano una garanzia e, il sistema tutto, si faceva spazio di espressione ideale di una leadership diffusa, ante litteram.Era l’epoca successiva a Mani Pulite, aleggiava in tutto il Paese un bisogno di rinascita della Repubblica, si tratteggiava un’idea nuova di dirigenza, che superava la figura polverosa e un po’ paternalista, del caro vecchio Direttore, ignari della traduzione in burocrate e responsabile ultimo dell’identità dell’istituzione scolastica, avvenuta con la L.107, 2015, depotenziata da una definizione poco chiara dei ruoli e degli strumenti di effettiva gestione della governance.

 Una riforma lungimirante, se possibile, più attuale e urgente oggi che allora, dato il cambiamento del paradigma educativo, significato dalla realtà odierna, liquida e globalizzata, fatta dall’interconnessione di sistemi complessi che mutano al ritmo di un’economia imprevedibile che chiede competenze e flessibilità, rimbalzando lontano la vecchia scuola pensata secondo le esigenze del sistema industriale fordiano, fondata sulla gerarchia e la rigidità dei ruoli. Duole constatare che, nonostante l’attualità del Regolamento che, all’art. 2, recita “L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti […]”, qualcosa non ha funzionato. 

La riforma è stata tradita dal ginepraio di norme successive che hanno esasperato la proceduralizzazione, la rendicontazione, le scadenze da rispettare, secondo direttive ancora centrali che, di fatto, hanno limitato l’autonomia, anche quella didattica, andando ben oltre il rispetto delle indicazioni generali essenziali, funzionali a garantire l’unitarietà degli obiettivi nazionali, una traccia sicuramente meno stringente di quella segnata dalla Buona Scuola del 2015, ma non solo.Anche sul fronte finanziario, non è andata meglio, la libertà di utilizzo delle risorse, sottostà ancora a vincoli di gestione e spesa che mal si addicono all’esercizio dell’autonomia autentica, e soffrono, più di allora, della penuria dei fondi investiti per la formazione. Dal 1995 ad oggi, i di fondi destinati all’istruzione e alla ricerca, sono passati dal 4,04 del 1995, ad appena il 3,6%, del 2019, a fronte della media europea che ammonta al 5% del Pil.

Al netto di tutto ciò, che non approfondisce il tema e, per ragioni di sintesi, non affronta dettagliatamente tutti gli aspetti, dopo vent’anni, si può affermare che le aspettative sono state disattese, la scuola non è riuscita ad essere quella “comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (art.1 Dpr 416/74 e art. 3 Dlgs 297/94) e non sembra esista un dibattito circa il futuro, nemmeno immediato.

 

La mannaia dei tagli più che l’autonomia, ha inciso sull’incapacità del sistema di farsi ponte, di impedire e poi invertire i numeri drammatici della dispersione scolastica e dell’insuccesso formativo. Oggi ci dicono che nel nostro Paese, si laurea solo il 6% dei ragazzi, figli di genitori non laureati, mentre due terzi dei figli di genitori non diplomati, non consegue nemmeno il titolo di diploma di scuola secondaria. Un ulteriore balzo indietro, un sintomo che si inscrive nella cornice di una scuola che non mantiene la promessa, incurante del fatto che i bambini di oggi faranno un lavoro attualmente inimmaginabile, ancora indefinito. Appare evidente che non è alla Bassanini e al Regolamento dell’autonomia che si può imputare il quadro delineato, i docenti, membri del sistema scuola, con un margine di azione non irrisorio, hanno fatto la loro parte. La didattica e la metodologia, superata l’infatuazione per i progetti, devono accordarsi alle istanze che scaturiscono da un mondo fortemente rivolto allo sviluppo della tecnologia, digitalizzato e in corsa verso l’intelligenza artificiale, in barba alla preminenza delle lezioni frontali, alla sottovalutazione dei tempi e degli stili cognitivi, distratto rispetto ai talenti e alle peculiarità della persona, spesso appiattita nella omogeneità della classe, destinataria di interventi poco differenziati.

In quest’ottica, è doveroso richiamare al mancato riordino dei cicli, il vecchio impianto dei tre segmenti primaria, media inferiore e superiore, già avviata dal ministro Berlinguer e restata incompiuta, serve ripensare una scuola, non piegata alle logiche neoliberiste ma utile alla riduzione delle emergenze, quali la disoccupazione e l’esclusione alla partecipazione, in grado di formare cittadini consapevoli, attivi e almeno europei. La formazione, ancora una volta, costituisce la chiave vera dell’innovazione che spesso naufraga con la scarsa motivazione del corpo docente, che sembra non avere l’entusiasmo della giovinezza (il 59% dei docenti ha più di 50 anni), appiattita dall’assenza concreta del riconoscimento del merito e da una articolazione della carriera anch’essa inesistente e contrassegnata dall’ascesa degli scaglioni stipendiali, fatto che, da solo, probabilmente, basterebbe a spiegare il trascinarsi stanco di molti docenti, approdati al ruolo, attraverso un sistema di reclutamento, non agevole.

Un quadro di insieme aggravato, nel tempo, dalla squalifica del sapere, dalla ridotta autorevolezza dell’istituzione e dalla scarsa riuscita dell’apertura concreta al territorio, anche la ricerca e lo sviluppo, non sono stati declinati secondo la linea prevista dalla riforma. Concretamente, quanto è stato attuato rispetto alla ricerca, alla sperimentazione e allo sviluppo, alla condivisione in rete tra scuole e alle iniziative finalizzate all’innovazione, secondo la linea esplicitata dal D.P.R 275/1999? L’autonomia, prima che una norma, è una prospettiva culturale che la formazione può favorire, a muovere dal bisogno più che dall’obbligo, conciliando la crescita personale e professionale con le esigenze della comunità, calata nel territorio, secondo una visione partecipativa, orientata alla definizione di un linguaggio comune, requisito dell’agire collegiale, in nome dello sviluppo di un Paese che arranca ma ha il dovere di non arrendersi al requiem e di ripartire dalle persone, fruitrici della scuola.

SONIA MELIS Sono una pedagogista sui generis, la mia formazione è stata fortemente orientata all’approfondimento della filosofia, tanto che anche la mia tesi di laurea fu di filosofia morale, in specie "Pareyson: il tema del male e la dottrina della libertà", docente specializzata nel sostegno, da circa vent’anni, credo anche sia arrivato il tempo di dare una svolta, prima o poi insegnerò filosofia in un liceo …Già mediatrice famigliare, ho lavorato nei servizi sociali e in una comunità per minori, in misura cautelare, in qualità di pedagogista, attualmente, associo all’insegnamento nella scuola primaria, la docenza per conto dell’Università Degli di Sassari, Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione, Scuola di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità e presso enti di formazione privati. Collaboro da anni con lo studio “Peralta – design & consulting”, in qualità di consulente, ho curato,  in particolare, la predisposizione degli ambienti di apprendimento e il rapporto tra pedagogia e architettura, per la progettazione e riqualificazione di diversi edifici scolastici situati in Sardegna e nella penisola https://www.professionearchitetto.it/news/notizie/24545/Luca-Peralta-vi-racconto-la-mia-scuola-Nzeb-che-stimola-i-sensi .  Tuttavia, la mia passione più grande resta la scrittura, già collaboratrice della Redazione cultura de La Nuova Sardegna, collaboro con riviste online, redigo atti di convegni e frequento la Scuola di Specializzazione di scrittura Reading School, dell’Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali. Adoro cucinare e non potrei vivere senza il mare.     

 

 

 

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