In un momento di grande disorientamento sociale quale quello vissuto negli ultimi due anni da tutti i paesi del mondo, in seguito all’emergenza pandemica che ha comportato notevoli sforzi di adattamento da parte delle diverse comunità scolastiche, sono stati ampiamente discussi, nel nostro Paese, i messaggi di incoraggiamento e i propositi di ripresa che il ministro Bianchi ha trasmesso attraverso la pubblicazione dei Piani Scuola 2020-21 e 2021-2022, veri e propri documenti programmatici che contengono, entrambi, ampi spunti di riflessione.
Tra questi, i patti educativi di comunità occupano un posto di rilievo in quanto espressione concreta del principio di sussidiarietà, in questo caso orizzontale, elevato a principio di rango costituzionale (Legge n.3/2001) in virtù del quale ai bisogni della comunità concorrono i diversi attori che ne fanno parte: enti locali, istituzioni, sia pubbliche che private, scuole e organizzazioni del terzo settore, un’orchestra di soggetti che dialogano e che si riconoscono in una mission comune, uniti dalla corresponsabilità della riuscita di una buona pratica sociale ed educativa.
In cosa consistono esattamente? Si tratta, in senso stretto, di accordi finalizzati all’ampliamento e al miglioramento dell’offerta formativa ma, di fatto, si rivelano un utile strumento di raccordo tra gli studenti e la comunità locale in un’ottica collaborativa e co-partecipativa.
I Patti Educativi di Comunità vengono promossi attraverso l’istituto della Conferenza dei servizi, nata con la legge 241/90, più volte disciplinata e riformata (Madia) da successivi interventi normativi e volta a semplificare, peraltro accelerandola, l’azione decisionale della pubblica amministrazione.
Nel corso della riunione, i soggetti coinvolti individuano le peculiarità o le criticità di quegli ambiti territoriali con i quali interagiscono o vorrebbero interagire gli studenti, spazi che possono essere adeguati ma anche precari, carenti o del tutto assenti. Su questa lettura si innesta la fase progettuale cui ciascun attore collabora dalla propria prospettiva con azioni concrete. Possiamo trarre alcuni esempi dallo stesso Piano-Scuola 2021/22: parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, possono diventare privilegiate location didattico-educative che non solo conferirebbero motivazione, entusiasmo e spinta propulsiva all’apprendimento, riducendo il rischio di drop-out ma contribuirebbero anche ad “allacciare” l’utenza scolare al tessuto territoriale, spesso vissuto come luogo-contenitore e non come spazio identitario.
Se i patti, dunque, non sono altro che accordi connaturati dalla volontà pedagogica di creare occasioni solidali per i giovani ed efficaci per il territorio, sulla scia di questa doppia valenza appare inevitabile e inscindibile il legame tra patti educativi di comunità e pratica del service learning, cui ampio spazio ha dedicato l’Indire nell’ambito del Movimento Avanguardie Educative.
La logica è la stessa: raccordare i giovani alla comunità territoriale di appartenenza; potenziare il senso di Cittadinanza attiva; motivare all’apprendimento attraverso l’assunzione di responsabilità civiche; privilegiare le competenze procedurali e laboratoriali, il cosiddetto saper fare; educare alla progettazione in contesti reali.
Certo, il disegno, così ben tratteggiato, appare perfetto. Ciò che si teme è che, oltre le buone intenzioni e le belle parole, venga a mancare una guida che tenga conto, in modo capillare, di tutte le azioni, i ruoli, i tempi, le modalità e quant’altro serva per realizzare un piano progettuale di successo.
È indiscutibile il grande sforzo compiuto negli ultimi vent’anni dalla scuola per declinare un linguaggio in linea con lo spirito europeistico, guidando gli operatori al suo interno nella non facile impresa di imprimere nelle nuove generazioni il senso di una piena cittadinanza attiva, che contempli la consapevolezza civica, la responsabilità di contribuire alla costruzione di un mondo migliore, ecosostenibile, solidale, pulito.
Sono sfide importanti che comportano la tessitura di un abito adatto a ciascuno studente, perché possa guardare al futuro con entusiasmo, utilizzando gli strumenti necessari per vincere la sfida esistenziale di realizzare se stesso.
Ciascun attore però non può farcela da solo. Dirigenti, docenti, famiglie non possono agire autonomamente e isolatamente, devono necessariamente lavorare in squadra e se la squadra si arricchisce di specialisti provenienti dal territorio si definisce un team a misura di studente.
Questa è l’essenza dei patti educativi di comunità. L’espressione contiene due termini che contemplano azioni e condizioni aggreganti: patto, ovvero accordo, intesa, sodalizio tra parti che concordano su un obiettivo comune, in cui si riconoscono; comunità… non semplicemente gruppo, nucleo. Comunità è un insieme di persone che pongono in comune un principio, un’idea, un elemento aggregante. Il fil rouge è chiaramente riconoscibile nell’obiettivo: educare alla percezione dell’essere parte di qualcosa che parte dal microcosmo territoriale e si trasmette all’intera comunità mondiale, passando da quella europea. Sentirsi cittadini del mondo può infondere un senso di pienezza e realizzazione che si rivela prezioso antidoto a quella precarietà con cui si è originata questa riflessione.
Giovannella Gennaro nasce a Catania il 1° luglio del 1965 e vive alle pendici dell’Etna dove svolge anche la sua docenza di Materie Letterarie, in una scuola alberghiera. Profondamente attratta da ogni espressione naturalistica, ama dedicare il suo tempo alla fotografia, al cinema, alla lettura e al viaggio. Fiera sostenitrice dei diritti umani, professa, con immutato vigore, l’avversione ad ogni forma di sopraffazione, xenofobia, razzismo ed integralismo. Ha ricoperto numerosi incarichi scolastici istituzionali quali F.S. al ptof, coordinatrice dipartimentale, referente Erasmus+, formatrice sulla progettazione di candidature Erasmus, beneficiaria di mobilità all’estero, in Spagna e in Finlandia, tutor di progetti PON.