Dalla famiglia di Nazareth, per dirla alla Checco Zalone, con molti figli e nessun televisore, alla famiglia con tanti televisori e pochi figli, fino a quella odierna con molti figli unici sempre interconnessi, il cambiamento più grande ha riguardato sia le relazioni umane interne che esterne alla famiglia, sia nelle modalità che nella tipologia.
I nativi degli anni 50-60-70, oggi genitori e/o nonni sono stati letteralmente investiti da Internet e da devices sempre più alla portata, quali smartphone e tablet e, seppure non tutti hanno saputo adeguarsi all’utilizzo di un Pc, lo smartphone è e rimane il re di ogni contesto sociale.
La crisi economica con la conseguente necessità, e non più opportunità, che entrambi i genitori debbano lavorare, ha lasciato parecchi figli, giovani studenti, a gestire il tempo pomeridiano, tra compiti e social e giochi sul web, senza il minimo controllo. La didattica a distanza, poi, ha finito per rendere esperti utilizzatori persino i più piccoli.
L’accesso alla nuova tecnologia è sempre più precoce. Tanti sono i genitori che guardano con entusiasmo il proprio figlio, di poco più di un anno di età, mentre maneggia il loro smartphone e sorprendendosi che già a 5 anni lo sappia utilizzare, con ricerche su youtube di canzoni e sigle dei cartoni preferiti, grazie all’assistente vocale che sostituisce la scrittura, per la quale ancora non hanno competenza.
Per i genitori è una gioia perché lo ritengono indice di intelligenza e ne parlano agli altri come un vanto che diventa una gara tra gli amici: “Guarda cosa sa fare mio figlio! E parla pure ad Alexa!”. In ben che non si dica, il passo tra l’uso e l’abuso è un attimo! Ed oramai è troppo tardi, lo smartphone diventa un membro di famiglia che siede a tavola sia a pranzo che a cena.
Nel giro di pochi anni, già a dieci anni, il figlio, da utilizzatore precoce di giochi e youtube, entra a pieno titolo nel mondo dei social. Prima Whatsapp, poi Facebook, Instagram, Tik Tok e Telegram, quando il proprio genitore utilizza appena solo Facebook e Whatsapp e solo da pochissimo tempo Instagram. La home dello smartphone si costella di applicazioni di ogni genere perché basta inserire un nome utente di fantasia ed una data di nascita di almeno 18 anni , per scaricarle (per Tik Tok basta dichiarare di avere almeno 13 anni).
La comunicazione tra genitori e figli diviene sempre più difficile e per una risposta ad una domanda o richiesta passano lunghi minuti, visto che il figlio quasi non sente più, assorto completamente con la testa china sul suo smartphone. Un genitore finisce per fare la stessa richiesta svariate volte e quando riceve una risposta sa che non è attendibile perché sarà rinnegata presto, da parte del figlio, che si giustificherà dicendo: Ma quando me lo hai chiesto? Non lo hai mai detto!
Il genitore, tanto entusiasta dei progressi del figlio di 5 anni, si rende conto che probabilmente ha sbagliato a far conoscere al proprio figlio, in età così precoce, una tecnologia così potente. Iniziano i compromessi sul tempo da destinare allo studio, al gioco alla PlayStation e allo smartphone e la lotta si fa sempre più dura, in termini di controllo del tempo e dei contenuti delle chat e delle applicazioni.
La questione più rilevante non si pone nei termini dell’uso di alcune applicazioni ma nel cattivo uso o nell’abuso, delle stesse. E la soluzione non può certo essere quella di togliere lo smartphone oppure i videogames sul web o su altri devices. Sarebbe anacronistico pensare che i bambini e i giovani possano vivere lontani dalla tecnologia e soprattutto dal mondo della condivisione, per questo i rapporti e relazioni interpersonali devono cambiare passo.
Per l’educatrice Federica Pizzoli, l’età più delicata è quella della preadolescenza: “Il compito dei genitori è sicuramente quello di affiancare i figli il più possibile, nella scoperta della rete. Bisogna far capire loro quali sono i rischi che si celano dietro molti usi scorretti di rete e social”.
La gestione dell’uso dei social network e delle tecnologie tutte, può cambiare le carte in tavola solo nel momento di costruzione della propria identità, quando è plausibile e naturale che non si abbiano ancora a disposizione struttura del sé e strumenti necessari alla comprensione e gestione del contesto. “Come tutte le identità in formazione, necessitano di un orientamento educativo”.
Non tutti i genitori sono però pronti e informati sull’utilizzo della tecnologia e spesso sottovalutano il potere di influenza dei social network. Inadeguatezza e frustrazione accompagnano spesso la fruizione del web da parte degli adulti e questo può avere una cattiva influenza sui più giovani. L’avvento degli influencer, in più, scalza completamente il ruolo educativo della famiglia che rappresenta la prima organizzazione sociale e la prima agenzia educativa che non può delegare in alcun modo alla scuola. Ma chi controlla ciò che questi influencer (che utilizzano Instagram, Tik Tok o Youtube) pubblicano? Esistono già dei controlli, operati in digitale e non da persone fisiche, da parte delle suddette piattaforme-social web, che vengono puntualmente aggirati dagli utilizzatori.
Ad esempio, un video che parli di cannabis può essere inserito nei social web e può essere censurato solo nella parte in cui si mostra una canna ma non nella parte in cui si mostra solo il fumo, e spesso anche la scritta “canna” viene artefatta inserendo caratteri speciali, che il controllo automatico digitale non riconosce come una parola da censurare. Insomma, fatta la legge, trovato l’inganno.
Quali possono essere, dunque, le soluzioni in aiuto alle famiglie per la gestione del controllo, sull’uso corretto dello smartphone e dei social web, e sulla loro autorevolezza scalzata dagli influencer, in età preadolescenziale e adolescenziale dei propri figli, tanto più in un’epoca di stress lavorativo che porta molti genitori ad essere poco presenti nella vita dei loro figli? E cosa può fare la scuola in tal senso?
Fermo retando che il ruolo educativo principale spetta alle famiglie, la scuola può intervenire, a mio avviso, non facendo corsi agli adolescenti tra i 10 e i 13 anni di età, che spesso finiscono per far conoscere loro social web che non conoscevano, facendone poi un uso improprio, bensì supportando le famiglie (con figli dai 6 ai 16 anni) sulla tecnologia e sull’uso di questi social web e giochi, affinchè possano imparare e conoscerne e riconoscerne i pericoli che nascondono per i figli minori che non hanno ancora una identità costituita e forte.
Sul fronte dei controlli digitali, spesso aggirati e raggirati, la soluzione è rappresentata dalla creazione di una identità digitale di ogni individuo, che venga richiesta all’accesso alle piattaforme social, favorendone l’utilizzo selettivo per fasce d’età. Nel caso citato del video sulla canna, basterebbe il fumo di sigaretta per impedirne la visione da parte dei soggetti tra i 6 e i 16 anni.
Ai genitori, così supportati e tecnologicamente formati, sarebbe relegato il ruolo del controllo sulle chat social, in termini di contenuti (poco adeguati o cyberbullismo) e di tipo di relazioni (poco sane o con delinquenti mascherati) e sul tempo di utilizzo dello smartphone, dedicato a queste chat o ai videogames (sapendo attivare il blocco famiglia).
Ai genitori spetta il compito di dare delle regole che valgano per l’intera famiglia, dando il buon esempio sull’uso discreto e discrezionale del Web, insegnando opportunità e rischi, nello stesso modo in cui si insegna a non accettare caramelle dagli sconosciuti. Troppi sono stati gli episodi, anche recenti, che parlano di figli giovanissimi stimolati dai social web (o semplicemente per emulazione) a compiere azioni pericolose, se non fatali quali Blue Whale e Blackout Challenge che hanno lasciato spiazzati e distrutti i genitori, inconsapevoli o incompetenti.
Ai genitori spetterà anche il compito di favorire i rapporti sociali non virtuali con amici (con figli coetanei dei loro amici) poiché la relazionalità tecnologica è ben diversa da quella reale. Gli adolescenti, o anche chiamati “i sempre connessi”, rischiano di perdere la consapevolezza del valore della relazione diretta in quanto tale e finiscono per non distinguere più l’offline dall’online e, così facendo, reputano uguale relazionarsi tramite applicazioni e social all’incontrarsi di persona e di questo passo, sentiranno meno il bisogno di vedersi faccia a faccia.
Inoltre, i giovani digitali appaiono pigri, ecco perché, tendono sempre verso la soluzione meno impegnativa e rapida, in cui le emozioni, anche per i più timidi, si traducono con semplici emoticons di rimpiazzo. Tutto perde valore: l’amicizia e i sentimenti diventano icone dalle diverse forme, colorate e poste su uno schermo.
Una volta fuori dal mondo digitale si sentono persi, non sanno come comportarsi, come relazionarsi perché abituati a ricevere sempre un aiuto da parte dei social e una continua distrazione socialmente accettata. Persino un termine offensivo in chat, tra i coetanei, assume una valenza differente se fatta nei social (appare meno pesante) che fatta in presenza.
Per questa “pigrizia”, ai genitori e contestualmente alla scuola spetterebbe ancora il compito di impegnare i propri figli/discenti in attività alternative, quelle che hanno reso gli adulti di oggi, competenti nel saper fare, dal cambiare una spina, una lampadina, al coltivare una pianta, al cucinare un dolce, al realizzare un esperimento, al saper tingere una parete, al leggere un romanzo, al fare sport, al suonare uno strumento, al cucire e ricamare, al creare con materiale di riciclo, al creare una compostiera…Tutto ciò che a scuola viene definito come “compito di realtà”.
Quanto finora affermato, non è una denigrazione della tecnologia e dei social web che conservano pur sempre un ruolo didattico e culturale importante, riscoperto anche nella DAD, potendo disporre, anche gratuitamente, di libri di lettura in digitale e di video interessanti, oltre che di attività formative e di scambio rilevanti.
Sotto il controllo dei genitori, attento e competente (una volta formati) il fenomeno del cyberbullismo sarà arginato sul nascere e l’intervento della scuola potrà limitarsi solo a gestire le dinamiche di gruppo della classe, in presenza, favorendo la collaborazione, la partecipazione, la socialità, lo spirito critico, anche con azioni peer to peer e con progettualità laboratoriale che miri ad un life long learning.
I genitori per primi, e la scuola a seguire, dovranno educare anche al non utilizzo improprio del cellulare in classe, spiegando che alcune azioni di diffusione di immagini o video, non autorizzati, costituiscano un reato di rilevanza penale. Frequenti, infatti, sono stati i provvedimenti disciplinari scolastici che sono stati presi nei confronti di studenti minorenni, per aver diffuso immagini e video della classe (non autorizzati) sui social web, a titolo di scherno.
Aggiungerei dunque il compito di insegnare l’uso corretto del Web al celebre detto che rivede i ruoli e le azioni educative di famiglia e scuola e che dice: “In famiglia si impara a salutare, a ringraziare, a curare l’igiene, essere onesti, puntuali, educati, a non parlare con turpiloquio, a rispettare gli altri, a essere solidali, a rispettare il bene proprio e altrui, a mangiare con la bocca chiusa, a non dire bugie. A scuola si acquisiscono nuove conoscenze disciplinari (italiano, matematica, lingue straniere…) e si rafforzano i valori dell’educazione ricevuta in famiglia”.
Genitori e Scuola insieme, sempre questa l’unica formula vincente per una crescita equilibrata dei giovani di oggi e delle famiglie del domani.
TIZIANA DRAGOTTA Docente di matematica e scienze nella scuola sec. 1°grado (dal 2005); consulente impatto ambientale per Enti Pubblici e studi tecnici (1994-2017). Formatore per gli Enti locali. Docente in Enti di formazione professionale per la comunicazione nelle Pubbliche amministrazioni, rivolto ai responsabili URP.