E’ da sempre che mi sento ripetere che l’insegnamento è una missione. 

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Chi non ha sentito almeno una volta questa frase pronunciata con più o meno enfasi e ammantata di una sorta di alone fideistico, come se invece che di un lavoro, degnissimo s’intende, si parlasse di una vocazione? 

 Monicelli, buonanima, diceva che la speranza è una fregatura, lo è anche considerare una professione alla stregua di un’attività volontaristica e vocazionale. Quali le differenze? Innanzitutto il “vil” denaro, e non ho scelto a caso questa locuzione. 

Perché siete quasi grati a qualunque professionista, dal medico all’avvocato, dal notaio all’ingegnere, quando gli pagate la parcella, spesso salata? Pagate e tacete e pensate sia giusto dargli ciò che gli spetta per aver lavorato, lui, uno che ha studiato, e vi ha ascoltati e ha preso le vostre parti, è andato incontro alle vostre esigenze. Ecco, perché allora un insegnante che fa dignitosamente il suo mestiere, ha studiato e spesso é iper specializzato, che si occupa della crescita dei vostri figli (quale altra attività è altrettanto preziosa?) viene trattato come un accattone, un mangiapane a tradimento?

Il discredito della nostra professione (e sottolineo professione) viene da anni di pessima gestione politica della scuola, da una costante precarizzazione del settore, da una perdita cospicua del potere d’acquisto del nostro stipendio che va di pari passo con una demonizzazione del pubblico impiego, a cui siamo indebitamente accorpati. 

Sono lontani i tempi in cui il maestro era uno degli assi portanti della società assieme al medico e al curato. Ora vi basta chiedere ai ragazzi delle vostre classi a quali lavori pensano di dedicarsi in futuro per rendervi conto che l’insegnante viene visto come un mestiere a cui quasi nessuno ambisce. Del resto, come mi ha detto tempo fa una ragazzina di una prima professionale, “oggi c’è internet” (!). 

(Anche se la cosa peggiore che mi sono sentita dire da un alunno, sempre del professionale (sarà un caso?) è stato che è inutile sforzarsi, “tanto il mondo non cambia”. Parole aberranti che ci dicono quanto ci sia da ricostruire in termini di fiducia e di autoefficacia, quanti danni stia facendo quel famoso ascensore sociale ormai perennemente bloccato al piano terra!)

Ma tornando al tema principale, pare chiaro che la scarsa considerazione che si ha dei docenti sia un portato di certa politica e di campagne mass mediatiche denigratorie. E ora che, causa covid, la scuola sembrava poter essere rimessa al centro del dibattito, seppure ribadendone una funzione primariamente di baby sitting,  anziché di costruttrice di coscienze critiche, di menti pensanti, si poteva utilizzare questa preoccupazione diffusa per investire in essa e nel suo miglioramento, ecco, che ci pensa subito il governo a rimettere nei ranghi i professori fannulloni, che hanno di sicuro approfittato della pandemia, e di un ulteriore acronimo cacofonico (dad),  per starsene beatamente in panciolle a casa loro, sui loro comodi divani, in dimore principesche, vista la consistenza dei loro introiti. 

Il prolungamento dell’anno scolastico è una misura populista, il cui unico effetto è stato quello di sconfessare i sacrifici che un’intera categoria ha affrontato con generosità e senza mai tirarsi indietro per fronteggiare una situazione emergenziale, a cui nessuno era preparato. Eppure con pochissimi mezzi e tutti i limiti del caso, ci si è arrangiati, come nella migliore tradizione italica, provando a non lasciare nessuno indietro. 

Se ci sono stati problemi, questi vanno imputati alla scarsa digitalizzazione del paese, alla povertà, alla carenza di risorse materiali delle scuole, alla mancanza di investimenti in strutture e innovazione, questioni vecchie come il cucco, che in questa emergenza hanno mostrato la fragilità del nostro sistema economico, non certo alla scarsa volontà del corpo docente. 

Un incremento puramente quantitativo del numero dei giorni lavorati nasconde un approccio squisitamente impiegatizio al problema ben più complesso dell’abbandono scolastico e dell’impoverimento educativo, una risposta semplice che non coglie (o non vuole farlo) il cuore della questione, spostando come sempre l’attenzione dalla luna al dito...

E noi zitti! Sì, è per questo che reputo le parole “categoria” e “docente” un ossimoro, noi non abbiamo una coscienza sindacale, impegnati come eravamo a fare i buoni samaritani, a salvare anime, come ogni buon missionario che si rispetti...e questo è il motivo per cui siamo i peggiori nemici di noi stessi!

ERSILIA DI GIACOMO Docente (felicemente) di sostegno da 25 anni. Mi occupo di inclusione da sempre. Sono stata funzione obiettivo (e questo testimonia della mia vetusta età) e sono attualmente funzione strumentale in questo ambito. Credo nell’aggiornamento professionale. Il mio ultimo master è in educazione interculturale. Ho fatto l’alfabetizzatrice e sono formatrice per i neoassunti per l’Usp di Modena. Vorrei la pensione ma so che poi mi annoierei, dunque resisto!

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