Oggi è il mio primo giorno di scuola, conoscerò i miei nuovi compagni di classe sono emozionato e spaventato, emozionato perché ansioso di avere nuovi amici e spaventato perché non conosco l’italiano e ho paura di sbagliare.
Mia mamma mi accompagna al grande cancello, suona la campanella. Oggi, che è il primo giorno per me, è permesso alla mia mamma di accompagnarmi in classe, in II E. Davanti al portone della scuola c’è quella maestra sorridente che ci ha aiutato a scrivere i documenti in segreteria, anche perché mia mamma parla un po' l’italiano ma non lo sa scrivere, ci saluta e ci fa segno di avvicinarci. La maestra sorridente mi abbraccia mi dà un piccolo regalino da parte della scuola, io emozionato ringrazio. Lei mi prende per mano e mi dice: “Simon ora andiamo in classe, i tuoi compagni sono ansiosi di conoscerti, ti stanno aspettando”. Io le do la mano e la seguo in silenzio, facciamo due rampe di scale, e incontriamo un signore al primo piano che ci saluta, conosce il mio nome e mi dice benvenuto. Proseguiamo per la classe, mia mamma segue la maestra che ci spiega come è diviso l’edificio, al primo piano la scuola primaria, al secondo la scuola secondaria di primo grado e a piano terra la scuola dell’infanzia, quella dei piccoli. Siamo arrivati, la porta è chiusa, il mio cuore batte a mille, ho paura.
La maestra si ferma davanti la porta, mi guarda e mi dice: “Sei pronto? Fai un bel sospirone, facciamolo insieme, andrà tutto bene”. La maestra apre la porta ed entriamo. Tutti i bambini si alzano in piedi dicendo “benvenuto Simon”, la maestra che era alla cattedra di avvicina a me, mi abbraccia e mi dice: “ti stavamo aspettando”. I bambini sono tutti sorridenti e mi salutano, sulla lavagna c’è scritto “Benvenuto Simon”. La maestra mi indica il mio banco e mi invita a sedermi. Vicino a me si siede anche la maestra sorridente che era al portone, lei parla anche la mia lingua, il rumeno e mi spiega le cose sia in rumeno che in italiano. Tutti i bambini si presentano, c’è Emily con due simpatiche fossette sul viso, Angela Gioia con due occhioni grandi e curiosi, Anna un vulcano di parole, Emanuele, Elvin e Michael sono i bambini seduti vicino a me mi sorridono e continuano a dirmi che poi giochiamo insieme, ci sono Carminio, Stefano e Lorenzo tutti sorridenti e accoglienti: sono simpatici e chiassosi.
La maestra incarica due bambini ad aiutarmi per ogni necessità. Io mi siedo, ringrazio tutti, ma improvvisamente mi intristisco e penso ai miei amici, alla mia famiglia, alla mia casa lontana. Mamma ha deciso di trasferirsi qui e di lavorare come badante, per dare la possibilità ai miei fratelli, rimasti con i nonni, di andare all’università. Io non volevo venire qui, volevo rimanere con i miei fratelli. La maestra inizia a scrivere delle parole in italiano alla lavagna e poi chiama l’altra maestra che le scrive in rumeno… finalmente capisco! C’è scritto “Tutti i bambini sono uguali a te”, è il titolo di una canzone infatti la maestra accende un televisore gigante che chiama LIM e fa partire la musica. La mattina trascorre bene e mangiamo anche insieme a mensa, il cibo è un po‘ diverso da quello che di solito mangio, ma provo a degustare tutto. Dopo mangiato, la maestra con un sorriso speciale ci dice: “bambini andiamo in cortile a giocare?” Tutti rispondono in coro e urlando “Siiiiiiii”. Di corsa scendiamo i gradini e ci troviamo nel cortile, c’è un sole caldissimo. La maestra mi dà il pallone e dice: “Simon sei il capitano”. Iniziamo a giocare, Elvin urla “passa la palla”, Carminio è in porta, io mi avvicino, Emanuele mi passa la palla e goooool. Tutti si avvicinano a me, mi abbracciano ed esultiamo insieme: “Abbiamo vintoooo”. La maestra riprende il pallone e ripete… “si abbiamo vinto!” Torniamo in classe, Lorenzo, Stefano e Michael mi invitano ad andare agli allenamenti della squadra il pomeriggio. Io sono felice e domani verrò di nuovo a scuola sicuro di ritrovare i miei nuovi amici.
Inclusione e qualità: la sfida continua. Abbiamo colto il messaggio che l’accoglienza è un prezioso strumento didattico, a bassissimo costo. Ma per farlo diventare tale occorre una forte professionalità del docente, capace di captare segnali, codici, messaggi impliciti e sottintesi. In Italia, da vent’anni, si cerca di sperimentare buone strategie di integrazione centrate sull’accoglienza e la relazione in classe. C’è un apparato organizzativo, con figure di mediatori “esterni” e qualche docente ad hoc su progetto, anche se oggi il modello organizzativo è in forte discussione per esempio le classi ponte o di accoglienza, l’equa distribuzione degli allievi tra le scuole, i tempi dell’alfabetizzazione, ecc.. La ricerca più recente si rivolge al fenomeno dell’interlingua, cioè di quella particolare situazione in cui si trova chi deve apprendere una nuova lingua. Sapere una lingua significa saperla parlare, saperla usare; non si apprendono sistemi astratti di regole, ma lingue vive in contesti d’uso, via via più consapevoli e meno marginali. Chi non parla va rispettato anche nei suoi silenzi o nei suoi primi tentativi di comunicazione. Ha comunque un diritto di parola, preziosa ancorché approssimata. Il primo dovere di un insegnante è continuare ad apprendere, in questo caso: reimparare la lingua assieme agli stranieri a cui la stiamo insegnando, facendo “ricerca” sulla lingua che evolve.
Si riscopre il valore del contesto della classe, ambiente di apprendimento per eccellenza, come la definiscono le Indicazioni 2007. La classe è/può essere una comunità di relazioni e di apprendimento, dove i membri diventano progressivamente partecipi di un ambiente culturale organizzato, anche linguisticamente organizzato, si pensi alle tonalità, ai sottintesi, ai veri e propri “giochi linguistici” costruiti da una comunità di parlanti. La classe interculturale diventa così uno spazio dove costruire la propria identità per ogni alunno, un ambiente positivo e partecipato, orientato alla produzione culturale e anche linguistica, alla conquista di competenze “visibili” che motivano. Queste competenze si possono acquisire anche attraverso il gioco, uno strumento educativo indispensabile, che suscita interesse e partecipazione ed un valido alleato per facilitare le relazioni tra pari. Mettersi in gioco non è scontato per un bambino, deve sentirsi accolto, compreso e non giudicato. L’importanza del gioco è tale che anche la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce, con l’articolo 31, il diritto del fanciullo non solo al riposo e al tempo libero, ma anche al gioco e alle attività ricreative. L’attività ludica è considerata fondamentale per lo sviluppo emotivo, cognitivo, motorio, relazionale del bambino. Con il gioco, il bambino impara e rafforza le proprie capacità comunicative, prende coscienza delle regole ed impara a usarle, a comprenderne il significato e la necessità del ricorso ad esse, instaura uno scambio particolarmente fecondo con la realtà esterna e con gli altri individui, oltretutto con il gioco si crea, in modo spontaneo e gioioso, una trasmissione di conoscenze, competenze, tecniche e abilità. Il bambino sviluppa anche la capacità di gestire e dominare le proprie emozioni, impara a relazionarsi con gli altri e a instaurare rapporti attivi, costruttivi, significativi. Il bambino, inoltre, per mezzo del gioco, può apprendere da chi ha più competenze e ampliare così il proprio bagaglio di conoscenze e abilità. Il gioco è una delle attività umane in grado di generare soddisfazione e piacere. Per tutte queste ragioni è uno strumento indispensabile per l’accoglienza e l’inclusione.
La normativa di riferimento relativa all’accoglienza e all’inclusione è ricca, come anche i protocolli organizzativi, ma ciò che fa sempre la differenza sono le persone che attuano le procedure, che danno vita alla scuola e che accolgono gli alunni.
Si pensa sempre che i bambini siano per natura resilienti, cioè abbiano le risorse per vivere serenamente insieme, essere curiosi, apprendere; per poterlo fare devono incontrare i normali esperti di buone relazioni educative, cioè le loro maestre e maestri, motivati, sicuri, fiduciosi e rispettati nelle loro competenze. Gli insegnanti sono le prime figure di riferimento per tutti i bambini e sono i primi mediatori dell’accoglienza. Anche le famiglie degli alunni possono avere un ruolo determinante per creare quella rete di supporto intorno al bambino da accogliere: tutti dobbiamo sentirci coinvolti nel processo di accoglienza per poter urlare “Abbiamo Vintoooooo!”
Fausta Di Cianni Docente di tecnologia presso la scuola secondaria di primo grado dell' IC Malvito e dell' IC Cetraro (Cosenza). Laureata in chimica e tecnologia farmaceutiche (UNIBO). Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Biopatologia Molecare (UNICAL). Nel 2020 ha conseguito un master di II livello su " I processi strategici e gli strumenti operativi per la dirigenza scolastica".