"Ha detto Intercultura?"

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Nel mese di marzo 2022 il M.I. emana gli Orientamenti interculturali “Idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori” con l’intento di offrire indicazioni organizzative ed operative per favorire l’inclusione di studenti e studentesse all’interno di ogni istituzione scolastica. 

Il documento, frutto del lavoro prodotto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del Ministero dell’Istruzione, aggiorna quello precedente del 2014 denominato “linee guida per l’integrazione degli alunni stranieri” sviluppando all’interno alcuni aspetti multidimensionali dei percorsi educativo-formativi fortemente attuali quali: l’insegnamento trasversale dell’Ed. civica, l’insegnamento della lingua italiana e il plurilinguismo, il sistema integrato da 0 a 6 anni, la cittadinanza digitale e le nuove generazioni. 

  1. Professoressa, Lei vive da anni in una regione di frontiera e di culture diverse da sempre e oggi è ancora così, ci può aiutare a comprendere che cosa si intende per intercultura?

La mia esperienza umana, formativa e professionale mi induce a osservare che nel termine inter-cultura si possa intravvedere il corredo, ripiegato più o meno in ordine, nel bagaglio della vita delle persone. Se le persone che provengono da Paesi differenti si incontrano in un luogo comune, dovendo adattarvisi necessariamente debbono aprire ciascuna il proprio bagaglio tirando fuori il corredo linguistico, formativo, culturale, intellettuale, folklorico, eventualmente religioso per poter ricavarsi un posto nella Comunità, o in questa specie di villaggio globale. Pertanto, in qualsivoglia situazione-ponte, come può essere l’inserimento scolastico diventa implicito, quanto inevitabile qualsiasi forma di confronto e scambio fra culture.

     2. Nella lettera del ministro Bianchi rivolta ai dirigenti e ai docenti si parla della presenza nella comunità scolastica di alunni e studenti portatori di diversi valori culturali, linguistici, religiosi: come è possibile pensare ad una azione capillare della Scuola di fronte al pluralismo socio-culturale?

Nell’attuale frangente storico la Scuola italiana si trova vestita di vecchi abiti rammendati talmente tante volte, che ormai non c’è più modo di rattoppare i buchi. In questa Primavera, il cambio- armadi è faticoso come non mai: a causa delle graduatorie esaurite abbiamo assistito alla chiamata di docenti dalle m.a.d. Molti di essi provengono dal mondo lavorativo esterno alla Scuola, alcuni dal terziario privato (avevano magari perso il lavoro, aziende che chiudono…) altri molto giovani o ancora studenti universitari, o a malapena specializzandi che si ritrovano a girare la sedia in cattedra, mentre ieri erano seduti tra i banchi. Diventa dunque cogente la formazione dei neo-insegnanti. La preparazione ad accogliere utenze scolastiche da tutti i Continenti, formando i futuri docenti sulla base di un piano di studi che preveda la conoscenza delle lingue straniere, dei sistemi scolastici di altri Paesi, che alleni i nuovi colleghi alle relazioni umane, alla cooperazione, (skills da sviluppare e coltivare, niente affatto scontate! Non basta avere pietà e generosità nel cuore per sapere accogliere!) converte il lato nascosto del rampantismo individualista e del forte senso di competizione come modello degli scorsi decenni, contro il senso di squadra, di condivisione, di collaborazione e confronto dal carattere di impellente necessità; è importante una formazione che declini il valore della valutazione verso la revisione e i concetti di modeling e shaping teaching /learning; occorrono ingredienti formativi come nuove strategie e metodologie meta-cognitive, oltre alla disciplina per cui si consegue la laurea!

A ciò si aggiunge che l’alleanza Scuola + Territorio ne diventi, di conseguenza il pilastro fondante e… qui spenderei un milione di parole, ma ritengo che basti il concetto di ALLEANZA a rimandare i pensieri in direzione di azioni capillari verso il pluralismo socio-culturale; in fondo nell’ambito della sovrana autonomia, ciascun Istituto nel proprio Territorio può e deve agire secondo disponibilità e risorse.

     3. Cosa sta realizzando concretamente la scuola per accogliere persone provenienti dai Paesi che stanno vivendo devastanti conflitti e tremendi disagi?

Così come in occasione della improvvisa condizione pandemica che la Scuola si trovò a fronteggiare ormai tre anni fa e per un periodo percepito davvero lungo, nella presente circostanza la nostra Istituzione sta rispondendo molto bene con la generosità che caratterizza il popolo italiano. Certamente ci si riferisce a ciascuna componente: dirigenti, docenti, studenti, genitori e al buon cuore di tutti. 

Sembra che, anche in questo caso, sia mancato il tempo per pensare, per pianificare azioni adeguate e lungimiranti declinate all’accoglienza. 

Come già detto, occorre un piano per rispondere in modo completo a circostanze così massicce e impegnative sulla dimensione umana. Lodevole ciò che ognuno sta mettendo in atto.

Vale la pena notare che da alcuni lustri in Italia giungono persone in fuga da Paesi in guerra o richiedenti asilo. Quando l’Ucraina non era così prepotentemente di moda, nei mass media esistevano già problemi di dimensioni gigantesche in molti Paesi dell’Africa, in Medio Oriente, in Asia e in quel lento passato era possibile pianificare man mano azioni di solidarietà e collaborazione con gli adulti di riferimento e con gli Enti del Territorio, ma nessuno si aspettava una ondata così imprevista e pressante come quella di questi giorni. Questo rende difficile la realizzazione di interventi incisivi in tempi rapidi e valutabili a titoli d’oro. 

Abbiamo fiducia nelle risorse che il Ministro e il Governo vorranno spendere per il reclutamento della classe docente e nelle alleanze col Territorio. Questo sarà il fulcro rotante dei punti di forza

     4. Come interpreta il rapporto con le tecnologie e la funzione che esse svolgono per favorire l’integrazione/inclusione?

L’ utilizzo delle tecnologie, seppure in modo qualitativamente e quantitativamente diverso, può rappresentare un sostegno concreto per valorizzare i canali comunicativi e le relazioni umane. 

Attraverso la costruzione e l’uso di un linguaggio digitale ed universale, si possono ridurre distanze, divari e disagi sociali. La rete permette a tutti nel mondo di connettersi, condividere e scambiare contenuti, filmati, immagini, e soprattutto di attivare un dialogo. In tal senso ci viene da pensare alle tecnologie non solo come semplici dispositivi e sofisticate strumentazioni, ma come scaffolding, come “mediatori” capaci di favorire la costruzione della relazione educativa, l’inclusione e adoperare un approccio metodologico valido per molti tipi di apprendimento.

Certamente vi sono dei limiti e pensiamo alle persone portatrici di menomazioni gravi che hanno bisogno di fare ricorso al contatto meramente fisico per intrecciare relazioni con l’esterno da sé, quali i sordo-ciechi, per i quali il contatto dell’unico linguaggio possibile per loro passa sul palmo delle mani, oppure le persone che dialogano attraverso il battito palpebrale: se non avessero accanto chi coglie e trasporta il messaggio, mediando per loro, l’accesso alla vita di relazione e agli apprendimenti sarebbero davvero impediti. La funzione umana resta per sempre l’X Factor!

    5. Lei in qualità di docente ha mai vissuto una esperienza particolarmente rilevante come esempio di integrazione/inclusione? Cosa ha fatto?  

Dipende in quale ambito si parla di inclusione. In fondo siamo tutti diversi…diversi da chi? Diversi da chi proviene da un Paese che non sia il nostro? Diverso da chi è portatore di un corpo in buona salute? Diverso da chi osserva il Ramadan? Diverso da chi indossa abiti cuciti a mano dalla mamma e che non indossa i pantaloni come i nostri ragazzi, ma vesti lunghissime dai tessuti che non porteremmo mai neanche in inverno? Diversi da chi indossa un turbante, da chi porta lo chignon sulla fronte e non mangia mai il panino al prosciutto?

Di esperienze nella mia lunga attività professionale ne ho vissute tante, ne cito alcune: un ragazzo di origine albanese (figlio di una coppia dei tanti che arrivarono su quella nave narrata dal bravo regista Gianni Amelio, cui casualmente mi toccò di assistere nel porto pugliese durante una gita scolastica con gli studenti di allora, per cui il commissariamento di moltissimi hotel della zona ci spinse ad albergare in un Motel lungo l’autostrada, esperienza indimenticabile!!) imparò a padroneggiare la nostra lingua, mente gli insegnavo le lingue straniere. Quel ragazzo amò l’italiano al punto che volle partecipare a un concorso nazionale di poesia bandito da un Istituto Tecnico Commerciale della zona; lo aiutai con dei semplici consigli di base: ebbene, con la tecnica dei calligrammi vinse il primo premio di quel concorso! Tutta la famiglia e la scuola ne ricordano la fierezza… 

Un altro esempio memorabile risale ad alcuni anni fa: un ragazzo portatore di un vistoso handicap motorio penalizzato nell’uso adeguato degli arti, si riteneva impossibilitato all’uso delle mani per accedere alla scrittura con la penna e gli strumenti manuali, dunque riuscimmo a fargli usare penna, pennarelli, pennelli per disegnare e dipingere, gessetti alla lavagna e persino materiali malleabili per descrivere la realtà che stava conoscendo in un quaderno che volle egli stesso costruire, dopo avere vissuto una emozione fortissima quale fu l’esperienza del “Tocco, quindi vedo”: si trattava di toccare a occhi chiusi, opere su materiale acrilico di vasta importanza artistica nel  museo tattile che stiamo allestendo nella nostra città. In particolare fu colpito dal ritratto del Duca di Urbino, che volle riprodurre poi in vari modi usando colori e plastilina. 

Fino ad allora il ragazzo aveva adoperato come unico canale cognitivo il computer. Aveva scoperto che nel suo corpo c’era del potenziale che semplicemente gli dava un accesso diverso da quelli consueti conosciuti e utilizzati nel mondo dei cosiddetti “normali”. Nel tempo quel ragazzo migliorò persino l’articolazione dell’eloquio. Dotato di particolare propensione alle relazioni sociali, in classe era amatissimo: si poneva in modo dolce, vivace e aperto a ogni innovazione.  Volle sperimentare l’uso della batteria come strumento musicale di cui la mia scuola è particolarmente ricca: abbiamo una orchestra di tanti elementi grazie al corso a indirizzo musicale e alle offerte del nostro Territorio, molto sensibile alla cultura della musica. Ebbene, grazie alla perfetta alleanza con la famiglia, il papà si propose di costruire per lui un cajon secondo le tecniche originali, armonizzato da un musicista esperto e canonizzato nell’orchestra della scuola. Lo accompagnammo innumerevoli volte in giro quando rimase in orchestra per alcuni anni a suonare per concerti anche fuori regione, partecipò persino a concorsi e manifestazioni popolari. Attualmente G. è un campione nazionale di tennis per disabili e di nuoto pinnato.

Potrei citare ancora innumerevoli esempi sul piano della multi-cultura

Un ragazzo profugo dall’Afghanistan, giunto in Italia dopo undici mesi di strazianti avventure durante la fuga dal suo Paese, fu accolto da noi nel CPIA, seguiva i corsi di Italiano e di Inglese, che peraltro parlava già a livello accettabile. Quando organizzammo una festa per dare il benvenuto a quegli studenti provenienti da 42 Paesi dai 5 continenti, lui rimase ancora con noi nel progetto che ci unì al Comitato della Marcia Perugia-Assisi e insieme ad altri del gruppo, seguimmo la stesura delle linee guida nazionali del percorso di insegnamento/apprendimento dell’Educazione alla Pace pubblicato a livello nazionale. Ci seguì nelle numerose marce della Pace, in Vaticano -quando fummo ricevuti dal Papa- e in quella che ci piace chiamare la “Famiglia della Pace”, in cui gli stranieri sono la maggioranza.

Quel ragazzo ora è diventato un paladino di pace: scrive, pubblica libri e poesie che narrano la storia straziante di chi fugge dalla propria terra, dagli affetti più cari con lo strazio nel cuore, con la promessa che un giorno tornerà, dopo aver cambiato il mondo a cominciare dalla propria quotidianità. Quel ragazzo dimostra l’esistenza di chi ha il doppio dei suoi anni, gira l’Italia a presentare i suoi libri, a raccontare la propria vita, parla 5 lingue, lavora come mediatore culturale e si offre volontario quando in questa regione di confine arrivano persone coi piedi straziati dai boschi e dalle violenze subìte lungo la rotta balcanica. 

     6. Quali azioni può intraprendere la scuola per favorire l’apprendimento delle lingue? Quali obiettivi si pone un’educazione al plurilinguismo, così come auspicato dai documenti europei e del Consiglio d’Europa?

Cominciamo a ragionare dalla base dei dati della realtà vicina a noi, prima ancora che dai documenti europei. Ci piace l’idea di partire da ciò che il Ministro riporrebbe nello zainetto dei bimbi a partire dai primi anni, come può essere l’esperienza dei viaggi-studio all’estero, ci metterei il rinforzo del contingente dei docenti di lingue, dei lettori per accompagnare e irrobustire l’esercizio di lettorato, ci metterei gli scambi tra docenti di tutte le discipline a livello nazionale e internazionale; ci metterei come ho già ipotizzato la formazione dei nuovi docenti sul piano della multiculturalità. La Matematica potrebbe venire insegnata in Italia da un docente tedesco mentre la Geografia da un docente francese, la Storia da un docente inglese, perché no? Ai docenti italiani affiderei l’insegnamento della Storia dell’Arte, della Musica, degli studi della Scuola Pitagorica di Taranto e di Siracusa, l’insegnamento del design e delle attività artigianali in cui siamo eccellenti nel mondo; la cura del cibo in tutta la filiera produttiva; l’educazione civica, l’inclusione (ricordiamo che la legge 104 è stata la prima al mondo così completa e articolata a prendersi cura dei ragazzi e delle persone svantaggiate nel favorire l’inclusione concreta! E che modello!!); la continuità didattica tra i vari ordini di Scuola, la promozione dell’immagine e delle pubbliche relazioni, l’insegnamento della cultura della Pace e tanto tanto altro ancora sia nella scuola italiana che in giro per il mondo. 

Vede, un bel riferimento di cittadino europeo e oserei dire del mondo, lo abbiamo avuto tra noi fino all’altro giorno: David Sassoli era un uomo di equilibrio, fine intellettuale, professionista di alto profilo, fu un politico aperto, rispettoso e altrettanto rispettato, al punto da ricoprire l’incarico che gli fu affidato. Se la sua formazione non lo avesse sin lì condotto, sarebbe rimasto un banale giornalista della TV di Stato a leggere le notizie del giorno, tanto lo stipendio gli sarebbe stato comunque garantito. Penso ad altre eccellenze che parlano le lingue e che si sono formate con forza e coraggio su studi internazionali: Samantha Cristoforetti, che attualmente è al comando di una importante ricerca scientifica. L’esempio della direttrice generale del CERN, Fabiola Gianotti… le sto citando donne, ecco questo è un bellissimo obiettivo: promuovere la cultura di genere, senza che questo debba far ricorso alle banali, quanto odiose “quote rosa”. Tutti dovrebbero avere diritto alla stessa formazione senza altro considerare…

   7. La prospettiva interculturale, attraversa i saperi e si rivolge a tutti. La scuola come luogo privilegiato da sola non è sufficiente. È d’accordo con questa affermazione? Come costruire una nuova realtà collaborativa? 

Partendo dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, fino alla Carta dei Doveri Umani, la cui prima firmataria fu Rita Levi Montalcini, in un Convegno Internazionale a San Vito al Tagliamento nel 1998. Il resto è riassunto nelle risposte precedenti e da lì a spaziare con generosità intellettuale.  

Lidia Nazzaro  Laureata in Pedagogia, abilitata per insegnamento alle scuole superiori II grado (classe A036) e dottoranda in Diritto, Educazione, Sviluppo. A seguito di vincita di concorsi, docente di scuola dell’infanzia, di scuola primaria e tutor tirocinio SFP. Vincitrice di due grant per visite di studio LLP/Erasmus+Esperta per la diffusione della cultura scientifica, ambasciatrice Scientix, tutor d’ aula, formatrice, si occupa pure di studi e dinamiche sul Gioco pubblico (in collaborazione OIG - SA) e di pratiche di filosofia dialogica.Ha conseguito numerosi master e perfezionamenti in vari ambiti (didattica TIC e media, DSA, dirigenza scolastica, storia ed intercultura…).

Maria Sasso nata e cresciuta in Puglia, adottata per la vita in Friuli. Laureata con lode e proposta di pubblicazione della tesi in lingue e letterature straniere.   Ho svolto attività come traduttrice e interprete nel settore privato prima di entrare nella Scuola Statale.  Abilitata all'insegnamento di inglese e di tedesco  nella Scuola Secondaria di primo e di secondo grado. Ho conseguito il diploma di specializzazione biennale polivalente per il sostegno. Sono mediatrice del Metodo Feuerstein. Insegno nella scuola pubblica da 34 anni. Sono di ruolo dal "92.  Sono stata tutor di docenti di lingua durante il loro anno di prova. Referente di tutte le attività didattiche della lingua inglese per il gruppo docenti di lingue. Referente di tutte le attività e i progetti legati al Metodo Feuerstein. Ho al mio attivo una esperienza di Erasmus KA + a Helsinki .  Attualmente per scelta ho chiesto il passaggio su posto di sostegno e sono molto felice di aver concretizzato (pur sbattendo contro i mulini a vento) progetti di inclusione a 360°.  Sono donatrice di voce per l'associazione Polaris- Amici del Libro Parlato.

 

 

 

 

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