Con l’articolo 7 comma 10 della Legge 517 del 4 agosto 1977, venivano abolite le classi “speciali” e gli studenti con disabilità, venivano inseriti nelle classi comuni. Sicuramento questo è stato una grandissima dimostrazione di civiltà ma si sapeva, ovviamente, che questa decisone avrebbe richiesto un forte impegno socio-educativo da parte di tutte le componenti del mondo della scuola.
Il cammino verso l’inclusione, quindi, è cominciato molto tempo fa e, sicuramente, non senza ostacoli ma chi lavora nella scuola, può affermare con certezza che da allora si è percorsa molta strada. Lo studente con difficoltà, più o meno gravi, deve essere visto dai compagni come parte integrante della classe, in quanto, ogni tipo di diversità deve essere percepita come una risorsa, unica ed insostituibile, poiché sta proprio nella diversità degli uni dagli altri l’unicità propria di ciascuno.
Affinché i compagni raggiungano questa consapevolezza diventa indispensabile iniziare un percorso che accompagni gli studenti nell’affrontare questa nuova esperienza. Per prima cosa il docente deve avere ben chiara la differenza tra tre termini che, erroneamente, vengono, spesso, utilizzati come sinonimi: inserimento, integrazione e inclusione.
Si ha l’inserimento nel momento in cui lo studente con difficoltà viene introdotto in una classe. Si ha l’integrazione, nel momento in cui lo studente comincia ad esplicitare le proprie esigenze ma, solo quando i compagni riescono a decifrare le sue necessità e ad interagire con lui in modo propositivo, si può parlare di inclusione.
Ciò che è sconosciuto fa paura, anche se, spesso, questa paura non viene esplicitata. Basti pensare ad un docente che arriva per la prima volta in una scuola nuova, quante difficoltà deve affrontare prima di riuscire ad interagire in modo proficuo con i nuovi colleghi. Lo studente con difficoltà, siano fisiche o psichiche, percepisce, anch’egli il cambiamento, nel momento in cui si trova inserito in un ambiente che per lui non è familiare.
A volte, può capitare che si chiuda in se stesso o che abbia reazioni di rabbia, a volte che non manifesti apertamente alcun disagio, anche se prova disorientamento. Tutto per lui è sconosciuto: l’ambiente, le persone che gli stanno vicino, gli oggetti non familiari. Di questo bisogna essere coscienti al momento dell’inserimento in una classe di un ragazzo con difficoltà.
Sarebbe buona norma parlare agli studenti, spiegando in modo semplice ma chiaro le problematiche del nuovo compagno, prima che questi venga loro presentato, in modo da pianificare con loro strategie di accoglienza, al fine di rendere il meno possibile traumatico l’inserimento. Non esiste una formula vincente che assicuri il benessere del nuovo arrivato ma, sicuramente, la sensibilizzazione al problema può aiutare.
Io dico sempre ai miei studenti che noi impariamo molto di più dalla persona con difficoltà di quanto questa impari da noi. Nel momento in cui io, docente, devo trovare una strategia per abbattere delle difficoltà oggettive, implemento le mie conoscenze ed imparo a confrontarmi con realtà sconosciute che possono solo potenziare le mie competenze. Cerco di spiegare loro che il rapporto con chi è diverso è fonte di stimolo al miglioramento personale.
Nella scuola, ormai, gli studenti sono nativi digitali e sono proprio le nuove tecnologie che possono aprire la strada del dialogo con chi ha difficoltà ad instaurare rapporti sociali per svariate motivazioni. Il ragazzo con difficoltà può trovare in esse la risposta a ciò che sta cercando, anche inconsapevolmente.
Quando sfida un compagno con un gioco sullo smartphone, i muri divisori si frantumano e si sente uguale agli altri. Il docente deve essere in grado di utilizzare questa opportunità creando, ad esempio, giochi didattici, preparando mappe interattive, dando in questo modo, al nuovo arrivato, la sensazione di essere lui protagonista del suo apprendimento e di essere in grado di cooperare con il mondo che lo circonda.
Passo dopo passo il ragazzo capirà che non è solo ad avere difficoltà e si sentirà sempre più parte attiva della classe, soprattutto, grazie ai compagni che sicuramente interagiranno con lui e che lo faranno sentire parte del gruppo. I ragazzi sono pieni di risorse che nemmeno con la migliore fantasia riusciamo lontanamente ad immaginare. Spesso noi docenti facciamo un errore di sottovalutazione della loro sensibilità.
Per fortuna i giovani di oggi non sempre ci ascoltano ed, in questo modo, sono ancora capaci di stupirci.
Emanuela Rosina nasce a Milano, nel 1961, si laurea in Lettere Moderna all’Università degli Studi di Milano. In seguito consegue i seguenti Master “Didattica della Lingua italiane”, “Storia del Novecento”, presso l’Università di Tor Vergata a Roma, “Esperto in didattica assistita dalle nuove tecnologie”. “Tecnologie della Didattica” e “Digital strytelling” al Politecnico di Milano. Ha diversi tipi di esperienza di insegnamento: negli anni si trova ad insegnare: religione, sostegno e lettere alla scuola secondaria di primo grado. Attualmente è Docente di Ruolo di Letteratura e Storia all’ITAG “Italo Calvino” di Noverasco di Opera, in provincia di Milano. E’ appassionata di Filosofia Antica