“Questione di…merito”

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L’iniziativa dell’attuale Ministro di modificare il titolo del Ministero della Pubblica Istruzione in Ministero dell’Istruzione e del Merito ha provocato un grande dibattito.

La prima cosa che ritengo ci si debba chiedere è se il compito della scuola sia prevalentemente premiare il merito o invece sollecitarlo, farlo sviluppare. Soprattutto, però, mi chiedo cos’è il merito quando parliamo di scuola, di apprendimento, di crescita. 

La scuola non dovrebbe premiare il merito, dovrebbe essere il luogo e il tempo in cui si coltiva la meritevolezza, nel senso delle capacità di ciascuno, indipendentemente dalla sua origine sociale, etnica, di cittadinanza, di diversa abilità. La vision di ogni istituzione scolastica è proprio quella di “garantire il successo formativo di tutti e di ciascuno”, per cui l’obiettivo di coloro che hanno una responsabilità educativa e di colui che è nel processo educativo, è impegnarsi in questo. 

Soprattutto per gli adulti (insegnanti, ma anche genitori), il compito è quello di creare le condizioni affinché l’impegno a sviluppare al massimo le potenzialità di ciascuno possa avvenire, venga riconosciuto, venga sollecitato. Ritengo, inoltre, che la meritevolezza di alunni, insegnanti e famiglie sia tanto più grande quanto più agisce in contesti deprivati e difficili, perché il tratto da percorrere è più accidentato e ha bisogno di maggiore cura e attenzione. 

Quando Don Milani diceva che non si possono fare parti uguali tra disuguali, non diceva affatto che bisogna abbassare l’asticella, ma diceva che per sviluppare una didattica realmente inclusiva, occorre tener conto dei punti di partenza e lavorare con e su questi punti di partenza, e non lavorare in uno pseudo-universalismo dicendo “Per me i bambini sono uguali, io non faccio differenza tra ricchi, poveri, disagiati e non, etc”.

A mio avviso, il Ministero non ha attivato questo cambiamento ritenendo che nella scuola venisse, in precedenza, ignorato il merito a favore di un appiattimento educativo. Piuttosto, è stato il fatto che nelle pratiche di moltissimi non sempre si è tenuto conto del fatto che non tutti i bambini partono con gli stessi prerequisiti e con le stesse risorse. 

La letteratura scientifica ha, negli anni, rilevato che tra le maggiori cause dell’insuccesso scolastico c’è lo stato socio-economico di appartenenza degli alunni, il grado di accesso agli strumenti di studio, la cura a una corretta alimentazione che influenza lo sviluppo cognitivo, il livello di istruzione dei genitori, etc. (Ritchie, 2015). Questi fenomeni sono fortemente legati alle disuguaglianze sociali e non sono legati puramente a fattori individuali (la scarsa motivazione, la pigrizia, la disattenzione, la poca partecipazione, etc.).

L’art. 34 della Costituzione dichiara che “…i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti di studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze…”. Ma per essere riconosciuti come capaci e meritevoli, occorre essere stati prima messi nelle condizioni di sviluppare le proprie capacità. Infatti nell’art. 3 nella Carta Costituzionale si indica che è necessario “… rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che … impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

L’efficacia dell’insegnamento, pertanto, è necessaria per aumentare l’effetto di parificazione delle dotazioni di partenza e superamento delle disuguaglianze. Sempre Don Lorenzo Milani ci ha insegnato che molto più delle differenze di ricchezza materiale contano le differenze di ricchezza culturale, di padronanza del linguaggio, di capacità di lettura, di comprensione di ciò che accade nella società che ci circonda, e molto altro.

Questo implica che chi è responsabile di questo complesso meccanismo si deve far carico che questo avvenga, e lo deve fare con una valutazione del merito dell’istituto, nel suo complesso, di svolgere la propria funzione educativa. Questo è anche previsto dal DPR 80 del 2013 che prevede una valutazione di sistema e che richiede, inoltre, che gli istituti effettuino un’autovalutazione che, in qualche modo, evidenzi, nel Rapporto di Autovalutazione, gli esiti e i processi che mette in atto, con rilevazioni dei test standardizzati che, non dicono tutto, ma che forniscono, senza dubbio, un dato di cui si deve tener conto. 

Poi abbiamo la rilevazione longitudinale con gli esiti a lungo termine dopo l’uscita degli studenti dall’istituto, oltre al dato degli abbandoni scolastici. Dati che dicono molto del “merito” della scuola, ed è il motivo per cui il sistema deve anche essere capace di valutare anche il merito degli insegnanti. Questo non significa fare graduatorie, non significa necessariamente stabilire delle differenze di trattamento economico (come l’attribuzione del bonus di merito previsto dalla L. 107/2015 che ha avuto un esito fallimentare nella sua applicazione), ma significa che almeno uno standard minimo di efficienza ed efficacia della didattica deve essere garantito e ciò ci dice, pertanto, che anche il merito dell’insegnante deve, in qualche modo, essere valutato.

Non ci siamo ancora riusciti. Sin dal 2009 con la L.150 (il cosìddetto decreto Brunetta) si prevedeva la valutazione del merito, ma questa parte della norma non è mai stata attuata. Perché? Di cosa abbiamo paura? Temiamo che si arrivi alle richieste di performance professionali previste in moltissimi paesi europei? Non lo so. Ma senza dubbio è necessario riflettere sul perché alcune cose non funzionano, sul perché il grado di abbandono scolastico in Italia è ancora così alto, sul perché, in alcuni contesti, gli esiti delle prove Invalsi o i dati OCSE PISA sono così allarmanti.

L’istituto, nella sua normata autonomia scolastica, ha la fortuna di potersi organizzare e riorganizzare, di gestire l’utilizzo del personale secondo i criteri stabiliti dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa e in base alla vision che intende perseguire, di predisporre spazi e metodologie che possono migliorare, sviluppare e potenziare gli apprendimenti, di programmare graduali, ma sistematici, interventi educativi per coloro che necessitano di una facilitazione nel loro apprendimento.

Abbiamo gli strumenti e le professionalità per farlo. Non limitiamoci a una critica improduttiva che non rende merito a ciò che siamo. Dimostriamo, con i fatti, che abbiamo merito e creiamo merito nei nostri alunni e richiediamo che questo venga riconosciuto.

Barbara Letteri

 

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