“Inclusione: Realtà o Utopia?”

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Perché un istituto scolastico sia veramente efficiente ed efficace deve predisporre, all’interno della sua organizzazione, una significativa strategia inclusiva.

Se si guardano i risultati degli studenti italiani, relativi alla rilevazione OCSE PISA 2018, si può rilevare che sono, anche se non in modo eccessivamente significativo, inferiori alla media. Non è assolutamente irrilevante il fatto che all’interno della scuola italiana, sia presente un considerevole numero di studenti provenienti da altri stati europei ed extraeuropei ed un altrettanto considerevole numero di alunni con difficoltà personali di vario tipo, sia comportamentali che intellettive.Un progetto atto a ridurre al minimo le problematiche che possono scaturire dal confronto tra culture diverse o dall’incontro di realtà diverse, che devono essere percepite, non come un impedimento ma come un’occasione di ampliamento delle proprie conoscenze, diventa indispensabile. Per capire a fondo che cosa si intenda per “inclusione”, è necessario chiarire la differenza tra termini che, spesso, nel linguaggio parlato, vengono usati come sinonimi ma che hanno profonde differenze di significato. “Inserimento”, “Integrazione” ed “Inclusione” non sono termini equivalenti.

L’inserimento avviene nel momento in cui uno studente viene immesso in un gruppo classe. Rappresenta solo la prima fase, il momento in cui ha inizio il percorso. L’integrazione si verifica quando lo studente comincia ad esplicitare la propria volontà, accettando o rifiutando le proposte che gli vengono offerte. L’inclusione è l’apice di questo percorso ed è rappresentato dall’accettazione o dal rifiuto, da parte degli interlocutori, delle proposte provenienti dal nuovo arrivato. E’ il momento dell’interazione dello studente, non solo con i compagni ma, anche, con i docenti.E’ il momento del confronto, in cui il linguaggio del nuovo arrivato, sia verbale che corporale, è percepito e compreso dai suoi interlocutori ed il linguaggio degli interlocutori è percepito e compreso dallo studente. E’ il momento in cui crollano i muri divisori e la diversità viene vissuta come una opportunità di crescita personale e professionale. Il docente deve sapere trasformarsi da depositario del sapere in facilitatore ed organizzatore.

E’ compito del docente trovare la strategia per fare scaturire la motivazione, spesso assopita, in alunni che presentano difficoltà di vario genere. Spesso risulta proficuo il coinvolgimento di studenti con spiccate capacità relazionali ed empaticamente predisposti a supportare chi è in difficoltà. Questo permette all’alunno in condizione di svantaggio di percepire meno la situazione di disagio, perché esiste un coetaneo come mediatore.Il lavoro di gruppo è spesso un ottimo metodo per incrementare la socializzazione e per ridurre le distanze culturali ed intellettive, per condividere gli spazi e le risorse ma, anche e soprattutto, le difficoltà. Il pronome “noi” deve sostituire il pronome “io”. La vittoria è condivisa da tutti così come l’eventuale fallimento, anche se i compiti devono essere specificati in modo chiaro ed inequivocabile, a seconda delle capacità individuali.In caso di fallimento può essere positivo ragionare sui motivi dell’esito negativo, per trovare insieme nuove strategie operative.

Anche al termine di un lavoro che ha ottenuto risultati positivi può essere prevista una autovalutazione, al fine di un miglioramento dei risultati, valorizzando le diversità. In conclusione, come si può definire una didattica veramente inclusiva? Una didattica inclusiva è, prima di tutto, una didattica capace di superare ogni rigidità, sia dal punto di vista metodologico che disciplinare. La cosa, però, fondamentale è tutti i docenti delle diverse discipline devono sforzarsi di adottare strategie inclusive, superando la convinzione, purtroppo ancora insita in alcuni, che il problema riguardi solo ed esclusivamente i docenti di sostegno, impegnandosi a considerare il successo dello studente in difficoltà come un successo di tutto il consiglio di classe e dell’intero istituto. Solo in questo modo la scuola può dimostrare l’impegno nell’assolvimento del compito che è chiamata a svolgere.

Emanuela Rosina nasce a Milano, nel 1961, si laurea in Lettere Moderna all’Università degli Studi di Milano. In seguito consegue i seguenti Master “Didattica della Lingua italiane”, “Storia del Novecento”, presso l’Università di Tor Vergata a Roma, “Esperto in didattica assistita dalle nuove tecnologie”. “Tecnologie della Didattica” e “Digital strytelling” al Politecnico di Milano. Ha diversi tipi di esperienza di insegnamento: negli anni si trova ad insegnare: religione, sostegno e lettere alla scuola secondaria di primo grado. Attualmente è Docente di Ruolo di Letteratura e Storia all’ITAG “Italo Calvino” di Noverasco di Opera, in provincia di Milano. E’ appassionata di Filosofia Antica

 

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