L’AUTONOMIA SCOLASTICA COMPIE 20 ANNI. COSA E’ CAMBIATO E COSA CAMBIERA’ NELLA SCUOLA DEL 21° SECOLO?

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L’epoca che stiamo vivendo è caratterizzata da cambiamenti socio-culturali ed economici di carattere “globale”. Tali mutamenti si riversano pesantemente sul sistema dell’istruzione pubblica italiana che ha conosciuto, negli ultimi venti anni, diverse riforme strutturali nel tentativo, vano, di trovare il sistema più opportuno.

Il focal point è la legge 59/1997 che ha rappresentato il fulcro per l’autonomia didattica e organizzativa. In virtù di tale legge le scuole possono differenziare e ampliare l’offerta formativa ed essere sedi di ricerca, sperimentazione e sviluppo. L’autonomia scolastica è diventata lo strumento per il raggiungimento di migliori livelli di successo formativo. Altrettanto vero che la sua applicazione non è priva di pericoli, soprattutto perché molti aspetti sono stati sottoposti a urgenti pressioni politiche o a vuoti normativi.

In questo momento storico a causa dell’emergenza Covid 19, l’anniversario dell’autonomia scolastica è a dir poco incerto e imbarazzante: gran parte di quanto previsto dal testo normativo è un insieme di mere affermazioni di principio che non si sono inverate nella pratica scolastica, e oggi sconvolte dall’ emergenza sanitaria. L'articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività, l'articolazione di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o diverse classi o da diversi anni di corso evidenziano gli elementi di criticità. Non di meno la programmazione di percorsi formativi che coinvolgono più discipline e attività in relazione agli interessi manifestati dagli alunni così come l’articolazione flessibile dell'orario del curricolo destinato alle discipline, anche sulla base di una programmazione plurisettimanale. Disattese le modalità diversificate di impiego dei docenti nelle varie classi e sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative adottate nel POF, diventato PTOF con il comma 14 della Legge 107/2015. Opportunità, queste, utilizzate pochissimo nel lavoro quotidiano delle scuole, forse perché non vi è una chiara consapevolezza delle potenzialità dell’autonomia scolastica, o forse perché l’esercizio dell’autonomia richiede maggiore assunzione di responsabilità riguardo le scelte da fare, oltre che una visione più innovativa della scuola e della didattica.

Fra gli ambiti di innovazione previsti dal Regolamento dell’autonomia DPR 275/99 rivestono particolare importanza quelli relativi alla facoltà concessa alle scuole di gestire, con ampi margini di autonomia: l’organizzazione, la didattica, il curricolo e l’offerta formativa.

Particolare rilievo riguarda il fatto che con le nuove regole sulla autonomia i programmi scolastici hanno cessato di essere prescrittivi per essere sostituiti dalle Indicazioni nazionali DM 254/2012 che si limitano a fornire la “mappa” delle conoscenze, delle abilità e delle competenze che lo studente deve raggiungere al termine di ciascun percorso formativo.

L’autonomia scolastica, motore trainante della scuola italiana, doveva essere la modalità innovativa primaria per migliorare la scuola. A 20 anni di distanza l’autonomia scolastica si sono rilevati sì punti di forza ma di contro gravi punti di debolezza.

Conseguenza diretta dell’autonomia scolastica è il Piano dell’Offerta Formativa (POF ex art 3 del DPR 275 del 1999). La norma, infatti, assegna a tutte le istituzioni scolastiche l’autonomia didattica ed organizzativa con lo scopo che esse si debbano dotare di un documento costitutivo della loro identità culturale e progettuale che ne espliciti le scelte in materia di progettazione curricolare, extracurricolare, organizzativa e didattica. Il Piano dell’Offerta Formativa, costituito anche dal “curricolo” d’Istituto, ne rappresenta il “cuore educativo- didattico”. Si forma fondendo la quota nazionale del curricolo con la quota riservata alle singole istituzioni scolastiche, onde poter adeguare e fare compensazioni tra gli insegnamenti tradizionali ed introdurre nuove discipline ed attività.  Il Piano dell’Offerta Formativa, con la legge 107 del 2015 ha introdotto novità significative nel sistema formativo italiano, al fine di dare concreta attuazione all’autonomia scolastica e di promuovere un’offerta formativa più inclusiva e personalizzata. 

L’art 1 comma 14 della 107/15, infatti, stabilisce che ogni istituzione scolastica deve dotarsi del “ribattezzato” Piano Triennale dell’Offerta Formativa” (PTOF). Introdotto per assicurare l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità dei sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Tali obiettivi  al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate nell’art.5, comma 2 del D. L. 14 agosto 2013, n.93. (comma 16).

E’ certamente positivo che ciascuna istituzione scolastica possa definire in modo autonomo il proprio piano dell’offerta formativa ma forse in questi 20 anni il Ministero avrebbe potuto fornire un maggior supporto  alle scuole stesse, anche dal punto di vista finanziario (i fondi per l’autonomia, dal 1999 in poi, non solo non sono mai aumentati ma addirittura sono stati ridotti).
La stessa novità introdotta dalla legge 107, e cioè l’organico di potenziamento, non ha dato  i risultati attesi a causa di un meccanismo che, di fatto, non ha tenuto conto quasi per nulla delle effettive esigenze di ciascuna scuola. In istituti dove necessitavano docenti di una precisa disciplina lingua venivano inviati docenti di tutt’altra materia.

In vent’anni si sono avvicendati dieci ministri e una serie di riforme quasi tutte incompiute, e svuotate dei contenuti innovativi per la sorda o esplicita resistenza del sistema, in assenza totale di “parole chiave” quali sistema, valutazione e autonomia. 

Quanto all’autonomia, a vent’anni dal Dpr 275/99 siamo ancora in presenza di una autonomia incompleta, che limita la possibilità delle scuole di formulare e realizzare progetti formativi condivisi dai genitori e destinati a rispondere a bisogni formativi generali. Non si è pensato alla necessità degli indirizzi, al territorio, a particolari gruppi di ragazzi. Con l’autonomia deve crescere anche il controllo, ma il modello centralizzato e standardizzato ha chiaramente mostrato i suoi limiti in termini di efficacia, efficienza ed equità.  Diversi sono gli aspetti fondanti dell’autonomia scolastica che si interseca in diverse dimensioni che definiscono il quadro operativo in cui essa si può legittimamente esercitare: la dimensione collegiale, da praticare per consentire di avere una omogeneità, un’identità e alle persone che vi operano un senso di appartenenza, di realizzazione e di successo. La collegialità è una sfida troppo forte, che va affrontata da diverse prospettive e che, come tutti i valori umani, non si ottiene una sola volta, ma va sempre coltivata, costruita e ri-costruita. E’ una delle strade affinchè la scuola possa divenire veramente una comunità di soggetti e non viceversa un gruppo in cui caoticamente ognuno opera in maniera “solitaria”. L’autonomia, si può riferire anche alle singole persone senza per questo rappresentare elemento di individualismo, indipendenza da tutto e da tutti, anarchia, estraneità o autocrazia. 

Dimensione centrale come parametro progettuale. Diventare “competente” significa elaborare e realizzare un progetto che, pur essendo il risultato di confronti e mediazioni, è espressione di tutta la scuola come comunità professionale. L’istituzione scuola è organizzazione dotata di autonomia didattica, organizzativa, di ricerca-sperimentazione-sviluppo, amministrativa deve essere in grado di costruire una identità comune e condivisa a partire da differenze inevitabili. In tale prospettiva la vera competenza istituzionale si forma e si esprime in modo identitario soltanto se alla base c’è un progetto di scuola in grado di canalizzare tutte le risorse, materiali e immateriali, verso finalità ed obiettivi conosciuti e riconosciuti. Questa dimensione ingloba anche quelle relazionali e decisionali incentrate su una leadership educativa.

L’elemento relazionale all’interno di una comunità educante richiede un approccio organizzativo e sistemico in simbiosi con il contesto sociale di cui fa parte. Una scuola facente parte della comunità sociale deve avere capace la capacità di assumersi delle responsabilità, ad elaborare buone decisioni proiettate al successo di iniziative di innovazione.

L’articolo 1 del D.P.R. n. 275/99 in tema di Regolamento dell’autonomia scolastica impone necessariamente il principio improntato all’interdipendenza: ”le istituzioni scolastiche…interagiscono tra loro e con gli Enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione” Sono relazioni improntate alla interdipendenza

 La scuola come tutte le organizzazioni complesse deve costantemente risolvere problemi di diversa natura, ordine e qualità. Ciò richiede capacità decisionali diffuse tra i vari organi che presiedono al funzionamento della scuola, dal dirigente scolastico agli organi collegiali fino al singolo docente e singolo operatore della scuola. La normativa sull’autonomia scolastica prevede spazi di decisionalità nelle scelte economiche, nell’acquisizione, distribuzione e impiego delle risorse finanziarie. Diventano inoltre focali l’organizzazione del lavoro del personale, l’organizzazione del tempo scolastico, l’utilizzo di strutture e strumenti, oltre che nelle scelte curriculari, didattiche ed organizzative ad esse connesse.

Il motore che deve muovere l’autonomia scolastica dovrà essere la dimensione della leadership educativa e il modo in cui si manifesta perché in un istituto scolastico rappresenta un indicatore di competenza in grado di orientare davvero il contributo dei singoli, di motivare le persone, di guidare verso il nuovo indicando la direzione del cambiamento. Rispetto alla struttura, la leadership deve essere davvero distribuita tra tutti coloro che svolgono una qualche funzione di supporto dentro la scuola fino ad estendersi al singolo insegnante che deve sapere che ogni contributo, anche soltanto di idee, può essere accolto. Leadership come riferimento alla capacità-possibilità che tutti i membri di un gruppo hanno di influenzare gli altri, così che si crei un orientamento comune e si eserciti una funzione di guida nei confronti di tutti gli altri. Nella scuola la leadership educativa appartiene al collegio dei docenti, mentre la leadership istituzionale al dirigente scolastico. Se ciò è vero sul piano normativo, sul piano fattuale il fenomeno della leadership si pone in modo molto diverso e tendenzialmente orientato verso la leadership diffusa e distribuita. Come afferma F.Macrì,” Ma la responsabilità educativa diventa davvero dimensione della competenza di una scuola  Autonoma, quando si struttura in modo diffuso e partecipato tra tutte le figure educative. In questo ambito, peraltro, poiché il rischio del fallimento è sempre presente, è necessario che la difficoltà di realizzare gli obiettivi educativi non si strutturi come disordine e confusione, come incapacità di rappresentare un luogo simbolico di appartenenza, come incapacità a conquistare prestigio educativo facendo scelte chiare e distintive. A causa della problematicità caratteristica della vita delle organizzazioni scolastiche, crisi, frustrazioni e difficoltà sono frequenti e prevedibili specie in particolari momenti e fasi che impongono alla scuola di cambiare: le riforme, il turn-over consistente di personale, l’organizzazione del lavoro, le dimensioni dell’istituto e le sue articolazioni territoriali, il clima complessivo e le regole di funzionamento collocano ai margini dell’istituzione  molti membri che si considerano intrusi  ed esclusi dalle responsabilità  distribuite. Di fatti le modalità con cui viene gestita la dinamica relativa all’accentramento/decentramento della responsabilità favoriscono o inibiscono la nascita e lo sviluppo del sentimento di appartenenza ad una istituzione che colloca al centro della propria identità la responsabilità educativa”.

Rosanna Gangi, docente, Ha lavorato presso gli Enti Locali, Lavora presso il MIUR  dal 1993. Laurea In Scienze della Comunicazione presso l’Università di Messina, Laurea Specialistica in scienze pedagogiche  presso l’Università Tor Vergata di Roma, Master in Legislazione  scolastica e management della negoziazione, docente specializzata  per alunni disabili, specializzazione biennale per soggetti con disturbi dell’apprendimento. Docente tutoe coordinatore presso Università di Enna. Ha conseguito diversi Master di I e II livello tra cui “ La Dirigenza scolastica nella scuola dell’autonomia”. Ha operato dal 1996 all’interno delle Istituzioni scolastiche come responsabile di progetti sulla conoscenza del territorio. Con diverse pubblicazioni scolastiche e multimediali. Esperta esterna MIUR PON FSE . Formatore MIUR nel Piano Formazione Docenti. Ha svolto diversi incarichi con gli enti pubblici tra cui Esperto esterno Nucleo di Valutazione. Elaborazione e  coordinamento del progetto “Vivere Priolo” dal 2003 al 2007. Ha svolto diverse Funzioni strumentali dal Coordinamento del PTOF alla Valutazione , sostegno agli alunni, Fondi strutturali Europei e Indire e Invalsi. Referente di Plesso. Insegna al II Istituto Comprensivo “A. Manzoni ” di Priolo Gargallo dal 1998. Ha curato e scritto la pubblicazione “Priolo tra bellezza e cultura” anno 2012. 

 

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