Capire il disagio contemporaneo per prevenire il malessere sociale.
Foto di Anna Serena Mercadante:
La luce del sole, irraggiungibile e ipnotica: la mancanza e il desiderio;
la luce della corrente elettrica: artificiale soddisfazione, il vuoto e la menzognera dipendenza.
L’essere umano ha sempre ricercato la felicità, il piacere ed ogni stato di serenità e di allontanamento dal dolore.
A prescindere dalla varie forme ed espressioni dei fenomeni clinici, tutte le droghe, anoressia, bulimia, dipendenza tecnologica, alcolismo o tossicomania, e tutte le dipendenze patologiche in generale, hanno sostanzialmente la funzione di appagare l’animo umano, seppur in maniera transitoria.
Denominatore comune ai diversi volti e alle varie forme di dipendenza è la fatica soggettiva a desiderare.
Il tossicomane, l’alcolista, l’anoressica, il bulimico, l’internet dependent (dall’ “Internet Addiction Disorder” -IAD- alla dipendenza da web fino alla sindrome di Hikikomori), vivono tutti una sorta di eclissi dell’aspirazione ad “altro”.
Avendo subito lo spegnimento dell’esperienza umana del desiderio, molto presumibilmente a causa di un trauma patito proprio durante il “battesimo” del contatto con l’altro, il “ferito” abbandonato, avvilito, deluso si è mosso verso una relazione con un oggetto sicuro e stabile, anziché un soggetto umano, libero di scegliere e che, nella propria scelta, potrebbe perpetrare nuovamente la ferita e far rivivere quell’atroce sofferenza sperimentata.
Se la prima esperienza del legame con l’altro ha generato il trauma di una separazione precoce, ogni nuovo legame viene vissuto con forte turbamento.
È plausibile, quindi, che l’iniziazione alla vita sentimentale e affettiva sia stata lacerante a tal punto da aver compromesso ogni relazione futura: l’“escara” della ferita dell’abbandono si è rivelata talmente traumatica da “imporsi” di trovare fugace sollievo solo in un oggetto, che rappresenta una presenza rassicurante e l’unico antidoto all’angoscia.
Il ragazzino che sprofonda nello schermo del suo computer, il bulimico o anche il tossicomane, usano l’oggetto come psicofarmaco, come anestesia alla sofferenza dell’abbandono. La dipendenza dalla sostanza è l’illusione di fuggire all’angoscia che deriva dalla ferita dell’altro.
Il soggetto affetto da dipendenza patologica non è più in rapporto all’altro, ma è solo in rapporto col proprio corpo e con l’oggetto da cui il corpo dipende.
Nella relazione tossicomane-cocaina, nel rapporto adolescente-computer, nella correlazione anoressico-immagine del corpo magro, nel legame bulimico-cibo, in ogni forma di dipendenza, l’inumano prende il posto dell’umano ed il soggetto non sarà mai in grado di realizzare relazioni autentiche e genuine, non riuscirà mai a consolidare legami sinceri e stabili, faticherà nel tentativo di camuffare una vita apparentemente quieta, ma il tumulto del vuoto urlerà, implorando una realtà surreale che invoca l’immersione fantastica, imponendosi al corpo che vuole ossificarsi, bramando un bicchiere che chiede di essere riempito, famelico di un piatto che mendica di essere saziato...
Freud cinicamente diceva che l’unico matrimonio destinato a durare è quello dell’uomo con la bottiglia, intendendo, così, che l’oggetto (la bottiglia per l’alcolista, il cibo per il bulimico, la droga per il tossicomane, il computer nell’internet addiction disorder, il cumulo di ossa per l’anoressico...) lo si trova, senza obiezioni e discussioni, dove lo si è lasciato.
L’unico matrimonio felice, nella dipendenza patologica, è con l’oggetto, non con l’essere umano libero, sul quale non si può esercitare alcuna forma di possesso.
Ancor più insistentemente e persistentemente, il tempo del feticismo delle merci di Marx ha trasformato nichilisticamente la congenita mancanza insita nell’essere umano in vuoto e il nuovo oggetto veste l’abito dell’unica soluzione risolutiva al problema del dolore di esistere. Sostanzialmente, tutti questi oggetti, che il mercato offre illimitatamente, non producono mai soddisfazione, ma ulteriori, nuovi vuoti.
L’astuzia del capitalista consiste proprio nell’offrire oggetti che generano inarrestabili vuoti e l’offerta illimitata dell’oggetto non fa che rinnovare costantemente altri e altri vuoti...
In questo “mercato delle merci” generatrici di inevitabili vuoti, l’obsolescenza accelerata tipica degli oggetti “ha contaminato” gli esseri umani e le relazioni, che nella contemporaneità hanno acquisito la peculiarità della scadenza.
Il mito più accreditato diviene, allora, la convinzione che la soddisfazione proviene sempre dal nuovo, da ciò che non c’è e la promessa del vuoto di riempire e appagare, in tempo di totalitarismo e culto dell’oggetto, illude, producendo perpetui, instancabili, fallaci ulteriori vuoti.
Così, se la vita senza desiderio è vita che si spegne, è vita che cade, è vita non viva, la fatica a desiderare ha come suo effetto principale la depressione.
Paradossalmente è soprattutto tra i giovani che forme del disagio umano sono accompagnate dalla depressione.
Qual è la causa del raffreddamento del desiderio nei giovani?
Che cosa ha provocato l’eclissi della forza del desiderio?
L’essere umano è intriso della dimensione della mancanza.
La mancanza di cui è fatto l’essere umano non può essere riempita: non c’è un oggetto che può riempire una mancanza e il desiderio è l’espressione della mancanza, che crea dinamismo e ricerca continua, vivacità e plus vitale all’esistenza.
La forza creatrice del desiderio consiste nel dare più vita alla vita; la presenza del desiderio nella vita è ciò che rende la vita viva. Il desiderio dà vita al nostro io e fa vacillare il nostro io, rendendoci vivi.
Se la mancanza, non potendo essere colmata da nulla, genera quel desiderio che è sempre movimento di apertura, vivacità e slancio vitale, il vuoto, invece, perde l’elemento vitale, nell’impossibilità di aggiungere il supplemento di vita alla vita.
È stata una metamorfosi individuale-sociale a convertire la mancanza, generatrice del desiderio e della sua inarrestabile ricerca vitale d' "altro”, in vuoto.
Attraverso un meccanismo di “capitalizzazione dello slancio vitale” della ricerca del desiderio, il vuoto ha soppiantato la mancanza, con l’oggetto e, poiché il soggettivo è sempre sociale, esistendo l’individuale esclusivamente in relazione al sociale, secondo il Freud di “Psicologie delle masse e analisi dell’Io”, la mente umana si rivela sociale e non precipuamente individuale e, pertanto, è nel sociale che è avvenuta la metamorfosi della mancanza in vuoto.
Nel nostro tempo, la mancanza, metamorfizzata in vuoto, ha sostituito il desiderio con l’oggetto; quindi, le abbuffate ingovernabili del bulimico sono modi di riempire il vuoto e non espressione del desiderio: il soggetto bulimico non fa più esperienza del desiderio, ma fa esperienza del suo corpo vuoto che necessita di essere riempito; l’anoressico, che vuole preservare il vuoto “vuoto”, fa esperienza continua della “ossificazione” del vuoto; ancora, l’oggetto sostituisce il desiderio nell’alcolista e nel tossicomane, determinando la morte del desiderio.
Come si curano queste patologie dell’oggetto?
Tutte le dipendenze devono avere la loro cura e devono rientrare in un piano terapeutico accessibile a tutti: l’analista non deve essere il medico di pochi; ciascuno deve essere messo nelle condizioni di curare ogni malattia e la dipendenza è una malattia e come tale va curata. Ma è una malattia dalla diagnosi faticosamente rintracciabile, poiché il lavoro più gravoso è far emergere ciò che non si vede.
Nella psicoanalisi l’intreccio delle dinamiche esplosive nasce dall’empatia tra terapeuta e paziente, in uno sforzo comunicativamente fertile e l’incontro tra i due è assai impegnativo: “ridare valore alla parola”, oltre a tentare di ridare senso a quanto distrutto dalla società capitalistica, rimettendo il soggetto in un rapporto di parola, significa principalmente dare valore all’ascolto, un ascolto puro e una presenza disinteressata, priva di qualsiasi forma di giudizio.
Nei casi di dipendenze molto severe, l’oggetto si tramuta nel demone del soggetto, essendosi impossessato del soggetto. Si rivela, allora, quantomai necessario creare le condizioni per lo svezzamento del soggetto dall’oggetto. L’intervento, in tal caso, consiste nel mettere qualcosa tra soggetto e oggetto, per consentirne la separazione.
Al di là del ricorso alla parola e all’ascolto, si agisce con la cura attraverso il corpo dell’istituzione, che interviene per promuovere ambienti e percorsi di azione, finalizzati al recupero.
La figura stessa dell’analista è strategica: l’analista è egli stesso la relazione che instaura con il paziente. Nella particolare relazione analista-paziente si può osservare, infatti, una soluzione di continuità della dipendenza verso l’oggetto, sostituita dalla figura dell’analista (transfert).
È il transfert che riaccende il desiderio e la vita è concepita quale salto che vale la pena di tentare...ogni volta, con un obiettivo nuovo, verso la realizzazione del proprio Io.
Mercadante Anna Serena Docente di Scuola Primaria presso l’Istituto Comprensivo “C. De Giorgi” di Lizzanello con Merine (Lecce), nel 2006 consegue la Laurea con lode in Filosofia presso l’Università del Salento, specializzandosi poi in “Metodologie Psicopedagogiche di gestione dell’insegnamento-apprendimento nell’ambito didattico” con Diploma Post Lauream Biennale; frequenta inoltre il Corso di Formazione Progetto E-Twinning del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Erasmus. Nel 2012 consegue il Diploma di Formazione “Apprendere in contesti culturali allargati – La mediazione interculturale per il cittadino globale” rilasciato dall’Università Cà Foscari di Venezia e, nel 2013, il Master Universitario in “Didattica e Psicopedagogia per i Disturbi Specifici di Apprendimento – DSA” presso l’Università del Salento con voto 110/110. Convinta sostenitrice del LifeLong-and-Wide-Learning, partecipa assiduamente ad esperienze di formazione.