La valutazione delle competenze acquisite da un discente in seguito all’attivazione di un processo formativo, è uno dei concetti-chiave dell'odierno sistema scolastico, attorno al quale sono stati aperti ampi dibattiti, spese molte parole, scritte diverse norme.
Analizziamo la connessione tra apprendimento, competenza, valutazione, certificazione: lo studente è certamente l’attore principale dell'apprendimento, ne è protagonista, perché è a lui che si rivolge un percorso destinato all’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze. Sappiamo inoltre che le conoscenze sono saperi codificati attinenti alle discipline, strumenti indispensabili all’apprendimento, il risultato dell’assimilazione di informazioni; le abilità sono invece collegate ai saperi operativi, al saper fare, sono la capacità di applicare le conoscenze e di usare il know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le competenze, infine, riguardano la comprovata capacità di usare conoscenze e abilità personali in situazioni anche extrascolastiche. Da ciò si evince che la competenza ha una natura poliedrica, multidimensionale, perché raccoglie e relaziona tra loro conoscenze (dichiarative e procedurali), processi metacognitivi ma anche peculiarità, proprie dello studente, sintesi di un determinato carattere, di un vissuto personale, di un sistema valoriale, di un contesto socio-culturale, di una propria storia, insomma.
All'interno di questo serbatoio, ogni individuo attinge per adattarsi ad un contesto, per raggiungere un determinato scopo e quindi per rispondere a uno specifico bisogno.
L’insegnamento per competenze comincia ad affermarsi intorno alla metà degli anni ’90, in seguito alla spinta propulsiva dell’Unione Europea, in seguito alla pubblicazione di alcuni importanti documenti quali il Libro bianco sull’istruzione e formazione curato da Edith Cresson, in cui leggiamo che In tutti i paesi d’Europa si cerca di identificare le “competenze chiave” e di trovare i mezzi migliori di acquisirle, certificarle e valutarle. Acquisirle, certificarle, valutarle... Come?
Intanto c'è da dire che l’acquisizione è strettamente legata al processo di insegnamento/apprendimento; la valutazione riguarda la verifica dei risultati conseguiti; la certificazione attiene alla necessità di effettuare un bilancio delle competenze. Quest'ultimo passaggio è di fondamentale importanza perché se non si certifica una competenza, la valutazione rimane un momento episodico, se invece ci si assume la responsabilità di certificare ciò che uno studente sa fare, si dà garanzia e legittimità al suo patrimonio esperenziale. Le competenze certificate sono una sorta di patente e insieme un passpartout che consentono di definire il profilo professionale di uno studente e quindi il documento che le attesta deve necessariamente costruirsi nel tempo, arricchirsi di anno in anno ed accompagnarlo lungo l'intero arco della sua esperienza scolastica e lavorativa.
Intorno al 2000, in piena temperie connessa alla Riforma Berlinguer, il tema è ancor più sentito, tanto dai legislatori quanto dagli operatori della scuola che riconoscono la necessità di distinguere le conoscenze da abilità e attitudini ma pervenendo a definizioni non sempre univoche.
Molto lavoro e brillanti impulsi vengono, ancora una volta, dall'Europa che dal 2006 ad oggi, si è impegnata a definire e declinare un vero e proprio canone di competenze-chiave che ciascun cittadino dell'Unione Europea dovrebbe conseguire. Perché? Presto detto: sia per poter affrontare le sfide esistenziali e lavorative che lo attendono dopo il compimento del percorso di studi, sia per contribuire a fare della comunità europea uno spazio umano dove ciascun individuo è chiamato a contribuire, a fare la propria parte, nel grande progetto di una Europa sostenibile, inclusiva, solidale, aperta alla valorizzazione delle competenze di ogni cittadino e tale da immettere nel mercato occupazionale risorse umane ampiamente specializzate.
Alla luce di quanto considerato è necessario pertanto, per assecondare una didattica per competenze, partire da un’attenta analisi di ogni discente, un’analisi che abbia come campo d’indagine il carattere, la motivazione, il vissuto pregresso, le conoscenze acquisite, gli interessi, il territorio di provenienza e tant'altro.
A questo punto si passerà alla scelta ragionata degli obiettivi che il discente può raggiungere e quindi alla programmazione di un piano d’azione che, step by step, sarà necessario seguire per il raggiungimento dei traguardi prefissati.
Indi sarà opportuno, in itinere e alla fine del percorso, misurare i livelli raggiunti perché senza una misurazione non può esservi né una valutazione né una certificazione delle competenze.
I criteri di valutazione devono riguardare il livello di preparazione di base, il carattere, il contesto socio-ambientale e affettivo d’appartenenza, l’impegno e la volontà dimostrati e i risultati raggiunti. Ciò che conta è che i criteri di misurazione siano chiari e trasparenti. A tal proposito ritengo, anzi constato, con profonda amarezza che, in certi contesti-classe, l’idea di misurare un prodotto e di porgere la relativa valutazione con serenità, non è ancora pratica diffusa. Per molti docenti la valutazione è di tipo “giudiziario” ed è connessa ad atteggiamenti mortificanti e umilianti nei confronti del discente. Questa condotta porta a un’arresa incondizionata dell’educando che, demotivato, non si sente partecipe del percorso di miglioramento ma vittima di un sistema che non condivide né comprende. Gli insegnanti che valutano male sono, quasi sempre, gli stessi insegnanti che non amano essere valutati e che alimentano quel clima di diffusa isteria reattiva e reazionaria di fronte alle prove INVALSI.
La valutazione, piuttosto, dovrebbe essere un’attività pedagogica che richiede scelte consapevoli e condivise, legate a un processo educativo, a un progetto specifico e riferite ad un contesto in cui siano chiari gli obiettivi. L’allievo deve essere messo in condizione di confrontarsi con la classe, con i docenti, con gli obiettivi e con se stesso. Valutare significa confrontare una situazione osservata con una situazione attesa (Roberto Trinchero)
E’ evidente pertanto, in quest’ottica, che occorra pensare ad una valutazione distinta in tre fasi, diagnostica prima, formativa in itinere, sommativa alla fine del percorso e prevedere diversi tipi di prove (indagini, prove di profitto e osservazioni sistematiche), osservare sia i prodotti che i processi che i sistemi, al nobile scopo di monitorarne l’efficacia , l’adeguatezza e l’impatto delle scelte operate.
In alcuni contesti, ahimè, tutto ciò è stato fantascienza, nonostante già dal '97 la necessità della certificazione sia comparsa nella Legge n.425 (riforma dell'Esame di Stato del 2° ciclo), poi meglio definita nell'art.10 del D.P.R. 275/99 (autonomia delle Istituzioni Scolastiche), così come nella Legge 53/2003 (Riforma Moratti) e nel di poco successivo Decreto legislativo 59/04 (solo per il 1° ciclo e senza modello allegato); resa obbligatoria con il D.M. n.139 del 2007 (adempimento obbligo di istruzione), nel 2009 col D.P.R. 122 (valutazione alunni, a firma Gelmini) e così via, l'elenco sarebbe ancor più lungo, fino all'esplicita volontà del Ministero di armonizzare i modelli di certificazione accordandoli agli standard europei, prima con il D.M.9/2010 che fornisce un primo modello di certificazione delle competenze, assolto l'obbligo di istruzione., cui segue il D.M. 742/2017 (certificazione competenze 1° ciclo), fino all'odierna realtà, normata dal decreto attuativo n.62/17 (riforma esami di Stato) e dal D.M. 183/19. Insomma, piaccia o no, adesso le scuole sono chiamate ad assumersi questa responsabilità, compilando modelli unitari.
D'altra parte appare scontato che dopo avere sostenuto e misurato i processi di apprendimento, sia necessario certificarli. Se lo studente è il protagonista consapevole del suo percorso, la logica certificativa ha una valenza non solo metacognitiva ma anche sociale, perché è rivolta all’esterno, classifica ed orienta insieme.
Il modello di certificazione da adottare, rende sintetica e trasparente la descrizione delle competenze di base acquisite, tiene conto degli assi culturali che caratterizzano l’obbligo di istruzione (dei linguaggi; matematico; scientifico-tecnologico e storico-sociale), ma anche del quadro di riferimento rappresentato dalle competenze chiave di cittadinanza, in linea con le indicazioni dell’Unione europea (EQF). La definizione per livelli di competenza è parametrata secondo una scala, indicata nel certificato stesso, che si articola, per il primo ciclo in quattro livelli: iniziale, base, intermedio e avanzato; gli ultimi tre per il secondo ciclo.
Tale pratica, che si conclude con la compilazione del format, mette in luce anche il ruolo del docente rispetto alla certificazione delle competenze perché se lo studente non ha acquisito le competenze previste in una ben precisa area o, nel complesso, rivela una diffusa staticità nei livelli d’apprendimento, qualcosa non ha funzionato e il docente, certamente coinvolto nel processo, deve interrogarsi sul perché; dunque, per estensione, una scuola che si interroga, che si offre a una seria e consapevole self-evaluation, che rivede i propri parametri di riferimento e sa, all'occorrenza, modificarli in itinere, una scuola che fa dell'errore una risorsa, è una scuola finalmente affrancata da quell'autoreferenzialità che l'ha connaturata prima delle rivoluzioni normative degli anni '90.
Giovannella Gennaro nasce a Catania il 1° luglio del 1965 e vive alle pendici dell’Etna dove svolge anche la sua docenza di Materie Letterarie, in una scuola alberghiera. Profondamente attratta da ogni espressione naturalistica, ama dedicare il suo tempo alla fotografia, al cinema, alla lettura e al viaggio. Fiera sostenitrice dei diritti umani, professa, con immutato vigore, l’avversione ad ogni forma di sopraffazione, xenofobia, razzismo ed integralismo. Ha ricoperto numerosi incarichi scolastici istituzionali quali F.S. al ptof, coordinatrice dipartimentale, referente Erasmus+, formatrice sulla progettazione di candidature Erasmus, beneficiaria di mobilità all’estero, in Spagna e in Finlandia, tutor di progetti PON.