Parlare oggi di intercultura nella scuola significa porre una seria e profonda riflessione sul contesto globale e storico della convivenza tra le persone. Le nuove Linee Guida del Ministero dell’Istruzione sugli Orientamenti Interculturali, gettano le basi per un nuovo percorso pedagogico-didattico più consapevole rispetto al ruolo che la scuola interculturale è chiamata a svolgere.
L’interdipendenza economica tra i Paesi, la globalizzazione di merci e consumi, le connessioni Web dei social network, i flussi migratori sono solo alcuni degli aspetti che rendono la società attuale multiculturale e in continuo e rapido mutamento. La crisi climatica del sud del mondo e le scellerate guerre di potere stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dei popoli: masse di uomini, donne e bambini si muovono verso l’Europa, miraggio di prosperità economica e rispetto dei diritti umani.
Il risultato è la convivenza di contesti culturali, linguisti e comunicativi diversi all’interno degli stessi confini geografici.
I dati emersi in Italia dal nuovo rapporto del M.I. “Gli alunni e la cittadinanza non italiana” dello scorso anno, ci mostrano una scuola che accoglie famiglie sempre più povere, cui la pandemia ha acuito la già fragile situazione e classi caratterizzate da un numero sempre crescente di alunni stranieri, a cui si somma l’allarmante invecchiamento demografico della popolazione italiana. Dunque povertà e multiculturalismo.
Occorre riflettere sulle priorità pedagogico-educative di ogni curricolo, in una progettazione a lungo termine e non emergenziale. Puntare sul rispetto dei diritti e sul benessere di tutti gli attori coinvolti nel processo educativo: insegnanti, studenti e collaboratori.
Base di partenza deve essere l’intercultura, testata con successo dall’esperienza della not formal education in Europa, a partire dagli anni ’70, e ormai entrata con forza all’interno delle scuole europee, senza eccezione per l’Italia.
L’intercultura permette la realizzazione di relazioni efficaci in grado di modificare e migliorare la percezione di sé e dell’Altro, e del contesto di riferimento. Un ambiente di apprendimento che diventa tale grazie ad un arricchimento scambievole.
La parola d’ordine è “scambio”: tutti danno e tutti ricevono, anche inconsapevolmente. Uno scambio produce una “tras-formazione” in grado di incidere sulla sfera psicologica e sociologico-relazionale; si parla quindi di educazione.
Chi ha l’opportunità di vivere un’esperienza all’estero, sperimenta l’essere “straniero” e si rende conto di come certi meccanismi socio-linguistico-culturali incidano sul processo formativo ed educativo, decodificando costantemente la realtà di riferimento.
Gli studenti stranieri che frequentano la scuola in Italia, fungono da mediatori comunicativi, educativi e culturali nei confronti delle loro famiglie; sono in grado di veicolare a scuola parte della cultura di origine e portare a casa parte della cultura del nostro paese. Questo processo educativo di incontro tra sistemi sta cambiando la scuola, le famiglie e l’intera società italiana, sta all’agire degli insegnanti stabilirne la valenza.
In un confronto tra docenti, in riferimento all’accoglienza degli studenti provenienti dall’Ucraina, è emerso come l’aspetto interculturale sia prevalente. Probabilmente la percezione di vicinanza della guerra e l’ipotetico rientro a breve dei minori in patria, fa sì che lo sguardo dei docenti sia più attento ed empatico. Il reperimento di pittogrammi con parole bilingue, ad esempio, non è stato fatto per gli studenti di lingua araba. Ci si chiede: “Cosa sta provando? Come posso migliorare la sua condizione?”
Come sempre la risposta viene dagli stessi alunni che, interagendo tra loro, danno vita alle più efficaci e pragmatiche strategie educative di insegnamento-apprendimento comunicativo, intriso di linguaggio e cultura. Loro apprendono, loro insegnano. L’intercultura come approccio sul quale fondare l’agire didattico: ricerca-azione, fondata sul rispetto di ognuno da parte di ciascuno.
Trovo appropriate le parole dell’economista indiano Amartya Sen, detto lo “studioso dei poveri”, padre dell’economia del benessere, premio Nobel per l’economia nel 1998.
Nella sua opera La medicina è il diritto di voto, del 2000, afferma che «Il progresso nella scienza, tecnologia e matematica, nelle arti, in musica, danza e persino nella cucina, e anche nella produzione economica e nella teoria politica, è dipeso in larghissima misura dal nostro apprendere gli uni dagli altri, dalle transazioni che abbiamo intrapreso gli uni con gli altri, dal nostro vivere gli uni accanto agli altri.
Dagli spostamenti di greci, romani, cinesi, indiani, ebrei, arabi e altri, nel corso dei millenni fino alle migrazioni più recenti di europei in tutto il mondo, le persone hanno trasportato, da una regione all’altra, le loro conoscenze, interpretazioni, capacità e usanze, insieme alla loro presenza. È difficile immaginare quanto sarebbe stato limitato il mondo se le persone avessero condotto esistenze chiuse e isolate».
Jessica Scambiato Licciardi. Laureata in Relazioni Pubbliche all’Università di Catania, è oggi docente di sostegno nella scuola primaria e supervisore educativo. Esperta nell’apprendimento per competenze, nello sviluppo delle personal and social skills e nell’insegnamento della lingua e della cultura italiana a stranieri, in diversi contesti educativi. Si occupa di comunicazione e mediazione interculturale, promuove progetti nell’ambito della not formal education per la mobilità dei giovani in Europa e collabora con enti internazionali per la promozione della pace in Paesi critici. Formata dal MIUR e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la “prevenzione all’uso delle droghe e alcol in età scolare”, sostiene che i bambini e i giovani siano il presente e non solo il futuro. Diversi i riconoscimenti per i progetti realizzati, anche in ambito internazionale.