E’ da anni ormai che siamo chiamati a “sperimentare” come comunità scolastiche e come insegnanti la cosiddetta didattica innovativa. Lo abbiamo fatto anche con l’ausilio degli strumenti a disposizione.
Ma lo abbiamo fatto innanzitutto come ce lo hanno indicato i grandi pedagogisti. Cito tra i tanti don Lorenzo Milani e Maria Montessori, due “mostri” della Scuola italiana che hanno sperimentato quella didattica della partecipazione e del protagonismo non disgiunta dall’ambiente, precursori delle recenti affermazioni dei rappresentanti istituzionali del Miur che hanno richiamato come “gli ambienti influiscono sul processo di apprendimento e sulle metodologie della didattica”. Ancora oggi entrambi sono punto di riferimento per le Scuole di altre Nazioni.
Noi docenti siamo stati, e lo possiamo dire con fierezza, precursori e promotori di quella metodologia che aiuta a ripensare il “fare scuola” e invita a sperimentare attraverso le attività laboratoriali e di ricerca un approccio diverso che pone l’accento sulla centralità dell’alunno nei processi di apprendimento-insegnamento. Lo abbiamo fatto con tutta la passione, professionalità e creatività possibili.
Il MIUR per i nativi digitali e/o millenials ha varato il PNSD. Dopo i vari passaggi oggi si parla di “Piano scuola 4.0” e di come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano (che prevede 2,1 miliardi per 100 mila classi innovative e laboratori per le professioni digitali del futuro), viene messo “a disposizione per cablare aule, formare docenti, portare la banda ultra larga a scuola, sostenere la digitalizzazione di segreterie e pagamenti legati alle attività scolastiche, innovare gli spazi didattici. Un lavoro che deve andare avanti per garantire una scuola al passo con i tempi a studenti e famiglie”, come si legge nelle recenti comunicazioni ministeriali.
Piano Scuola 4.0 traduce dunque il passaggio da una scuola e classi tradizionali in ambienti-laboratori per le professioni digitali del futuro. Ed è a questo nuovo che i docenti saranno accompagnati attraverso una formazione continua e permanente.
E’ un Piano che punta ad un domani migliore con crescita economica “robusta, sostenibile e inclusiva”.
Ma in tutto questo c’è qualcosa che non quadra, che stride. Un po’ come quel tale, di evangelica memoria, che vuole mettere il vino nuovo in botti vecchie.
Va bene la trasformazione delle “classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento e creare laboratori per le professioni digitali del futuro negli istituti scolastici del secondo ciclo”. Ma se a questa innovazione non si accompagna, di pari passo, e ripeto, di pari passo, anche una riarticolazione del tempo scuola e dell’organizzazione della didattica, sarà un ennesimo “flop” dove le “classi tradizionali” resisteranno e saremo ancora una volta, noi insegnanti italiani, i “cirenei” della Scuola a fare i conti con giovani studenti sempre demotivati...
Non si può parlare di attività laboratoriale quando gli alunni sono “costretti” a stare seduti per sei ore in uno spazio ristretto e devono (al di là di tutte le strategie del cooperative learning con tanto di strumentazione tecnologica) iniziare un percorso “settoriale” per poi al suono della campanella alternarsi con un’altra disciplina e così via….. Si calcoli poi che parliamo di classi numerose e di alunni nella maggior parte dei casi, irriverenti e insofferenti. Si assumono delle pillole ad ora, “percorsi avviati e frantumati”. Dov’è il percorso interculturale-interdisciplinare e laboratoriale quando resiste ancora questo modello?? Senza dire poi della importanza della “compresenza”. Ci si trova a lavorare insieme tra docenti con gli alunni. Tutto diventa interessante, interconnesso, “visitato” e ricercato dal discente in quel momento presente.
Se per ambiente intendiamo non solo l’arredo ma l’aspetto laboratoriale di ricerca e di protagonismo (con l’ausilio di tutte le strumentazioni) come è possibile conciliare questa impostazione innovativa con un’organizzazione dell’orario ferma a più di cinquant’anni fa?
Perché non si lavora su questo nuovo impianto?
Eppure i benefici si possono prevedere: aumento della motivazione; bellezza della ricerca e dell’attività laboratoriale; un procedere concreto di peer to peer e cooperative learning; – avere una visione d’insieme rispetto alle problematiche affrontate ed una gestione più serena della classe per la compresenza di più docenti.
Aumento della motivazione significa anche una soluzione ai problemi dell’abbandono scolastico.
Attrae una scuola così organizzata, ad alunni ed insegnanti. E’ la scuola-comunità, aperta al nuovo, che motiva a partecipare, a coinvolgere e a confrontarsi nel proprio processo formativo (cfr. Vergani-De Carlo, “Professione docente in tempi di guerra. Appunti per insegnanti multitasking, p. 67, Brè Edizioni, Treviso 2022).
Speriamo che queste riflessioni vengano prese in considerazione negli ambienti “alti” di lavoro e non si debba dire: “Voce di uno che grida nel deserto”.
* Maria De Carlo, è nata e vive a Potenza. Insegna nella scuola secondaria di II grado. E’ dottora in Filosofia ed in Magistero in Scienze Religiose. Negli anni ha maturato numerose esperienze e incarichi scolastici anche a livello regionale, compresa la formazione ai docenti. Ha pubblicato alcuni saggi ed è presidente dell’associazione di pratiche filosofiche “Conduco un dialogo” (pag. FB e per ulteriori info https://mariadecarlo9.webnode.it/contatti/)
Maria De Carlo, è nata e vive a Potenza. Attualmente insegna Filosofia e Storia ed è presidente dell'associazione di pratiche filosofiche "Conduco un dialogo" ( pagina FB).