Il Ministero dell’Istruzione, nell’anno 2022, cambia ufficialmente denominazione e diventa Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Presupposto della seguente argomentazione è il fatto che al nome con cui chiamiamo le cose occorre sempre attribuire un senso, pena un pericoloso disorientamento.
In un contesto particolare come quello scolastico, “merito” è un termine fortemente evocativo. Ne parla la nostra Costituzione all’art. 34 e adesso tutti se lo ricordano, ma i Padri Costituenti avevano memoria di qualcosa che, al momento, non impatta come dovrebbe l’opinione pubblica, smemorata, disattenta, superficiale, condizionata.
Merito è un termine da suggestione olfattiva. L’olfatto segue due scie: da una parte odore di santità, e dall’altra odore di zolfo. Paradiso o Inferno. Siamo pur sempre sotto il cielo di una cultura permeata di cristianità! Beatitudine o mestizia. Premio o punizione. Gioia o dolore. Incenso o pece. Profumo o lezzo.
In una cornice come quella italiana, dove pare ormai strutturale l’idea che l’ascesa sociale sia prevalentemente appannaggio degli amici degli amici che contano, l’idea di meritocrazia è seducente. Lo è ancora di più se si aggancia alla percezione di un’urgenza: quella di avere persone qualificate nei diversi ruoli e funzioni sociali. C’è da considerare, inoltre, l’evoluzione dell’idea di successo nei diversi ambiti, verificatasi negli ultimi anni. Ha maggiore successo chi guadagna di più e, spesso, non importa come.
Una prima suggestione, dunque, può infiammare di superficiale entusiasmo. “Merito” è un profumo che inebria, entra dalle narici per arrivare dritto nella pancia e la solletica facilmente e, senza filtri, innesca un’idea illusoria di giustizia e riscatto sociale. Del resto, nessuno potrebbe avere argomenti per validare una posizione oppositiva alla meritocrazia pura. Nella scuola il problema sorge relativamente alla misurazione del merito e investe la questione dell’arbitrarietà e della discrezionalità del sistema di valutazione.
Un’altra possibile associazione di idee genera, invece, odore di bruciato e di sospetto. È l’associazione all’idea della politica imperante del lavoro burocratico legato alla valutazione del merito. Quell’idea della cultura della documentazione, secondo cui, tutto ciò che si realizza va previsto, pianificato e organizzato in anticipo. Quell’idea della cultura della pianificazione e della progettazione, imposta dallo spirito del tempo e che prevede schemi, tabelle e scalette, come quelle per la misurazione del merito degli studenti o degli alunni.
Queste ultime, a torto o a ragione (la verità potrebbe stare nel mezzo), possono essere percepite come tediosa narrazione di itinerari ancora tutti da compiere, privi di senso, se non al di fuori della media di una qualche - probabilmente altrettanto inutile - statistica. Narrazioni che precedono l’accadere degli eventi. Storie senza trama. Itinerari che non si svolgono secondo una peculiare “immagine innata” di cui si dovrebbe caratterizzare la biografia di ogni persona.
Il sospetto degli addetti ai lavori in materia di valutazione, che sottende a una tale percezione, potrebbe essere quello che sia in atto un meccanismo che, banalmente e perversamente, contribuisca a derubare la biografia delle persone a causa di una mancata attribuzione di quella “realtà psichica primaria alla chiamata del destino”, di cui ci parla lo psicanalista J. Hillman (cfr. pag. 20 di “Il codice dell’anima”, J. Hillman, Biblioteca Adelphi).
L’idea di fondo generata dai meccanismi della valutazione del merito degli alunni, che demoralizza e fiacca gli addetti ai lavori, è quella del rischio di perdere un’occasione. Si tratta dell’occasione di contribuire a far emergere identità. Il timore è quello di contribuire, gioco-forza, ad un appiattimento, ad una riduzione a mero risultato dell’identità di ogni alunno/studente, ciascuno con la propria quota di peculiarità (dall’esterno solo parzialmente visibile ), ciascuno con il proprio “daimon”.
Questo vorrebbe dire ridurre potenziali creativi, spesso invisibili, insondabili, ad un’identità di consumo a favore di studi, studiosi, statistiche e politiche. Sì, politiche! Sarebbe come avere un grosso potenziale bellico e dover giocare a freccette!
Che cosa c’è alla base di questa serpeggiante idea? C’è un’idea romantica dell’umanità! Un’idea che si fonda nella fede e nella valorizzazione del mistero racchiuso in ogni persona e nelle manifestazioni della sua personalità. Un mistero che sfugge ad ogni previsione di calcolo. Un mistero che sfugge persino alle spiegazioni genetiche e alle interpretazioni delle storie personali secondo le relazioni tra genetica e ambiente.
Il successo scolastico è sì determinato anche dalle risorse umane, materiali, digitali, ambientali, a disposizione nei processi di insegnamento/apprendimento, ma pur sempre conserverà una quota di mistero, così come accade per il successo personale in altri ambiti della vita di ogni individuo. Perché il mistero è in ogni persona. Perché misteriosa è “l’immagine innata” di ognuno di noi, come misterioso è il motivo per il quale ogni persona è chiamata a stare al mondo.
Una questione fondamentale è costituita dal dato di fatto che non esistono criteri universalmente riconosciuti per misurare il merito, prassi che presuppone, tra l’altro, un’asimmetria: quella tra chi valuta e chi è valutato. La condizione di asimmetria è tipica nella relazione tra docente e discente, ma nella prassi valutativa occorre che non vi sia sproporzione, eccesso, né virtuosismo.
Così, si rende necessario un sistema di valutazione secondo cui, l’arbitrarietà e la discrezionalità siano massimamente ridotte e i valori qualitativi siano riscontrabili. E, a tal proposito, un vincolo irrinunciabile è stabilire che cosa misurare per assegnare il merito ed aver chiara la direzione verso cui s’intende andare, non disperdendo mai il senso della questione: la finalità primaria della scuola, cioè la formazione e la massima valorizzazione di tutti e di ciascuno.
Allora, bisogna porre attenzione a non farsi sedurre dalla cultura determinata da certi paradigmi teorici, che può diventare valanga e travolgere tutti in una mentalità che ci vuole consumatori e consumati. Il presupposto a fondamento del merito non dev’essere inquadrato nella logica del mercato, perché, allora, lo scopo sarebbe rovinosamente distopico.
La questione della meritocrazia, poi, chiama in campo un’altra questione, quella di una condizione di partenza realmente paritaria in ordine alle opportunità. Ma siffatta condizione è, al momento, una fantasticheria. E quand’anche si verificasse, la questione del merito resterebbe in parte oscura. Ne parla il filosofo statunitense Michael J. Sandel, professore di Filosofia politica e Teoria del governo alla Harvard University, nel suo libro intitolato “La tirannia del merito”, edito da Feltrinelli con traduzione di C. Del Bò ed E. Marchiafava.
Secondo Sandel, anche la meritocrazia perfetta conserverebbe un aspetto oscuro, dal momento che, in una condizione di pari opportunità, non riuscire ad emergere sulla base del proprio impegno e delle proprie capacità sarebbe una responsabilità individuale. Chi garantisce a questo punto che ciò che ne risulterebbe sarebbe una buona società? M. J. Sandel sostiene che lo sarebbe limitatamente, poiché, la meritocrazia intaccherebbe il bene comune e comprometterebbe i rapporti solidali tra le persone, dal momento che si verrebbe così a creare un sistema di “vincitori e perdenti”, con tutte le conseguenze del caso.
In un sistema particolare come quello scolastico, sarebbe auspicabile un gioco al rilancio: un’evoluzione virtuosa dell’idea di merito, che superi quella del merito attribuito sulla base della quantità e dei risultati in termini di prestazioni ed efficienza. Una valida direzione di tale movimento evolutivo potrebbe configurarsi nella costruzione di un atteggiamento collettivo basato sulla necessità etica della responsabilità, della correttezza e della giustizia in ogni ambito della prassi sociale. Un atteggiamento che è in grado di transitare dall’universo privato di una persona a quello comunitario.
Un atteggiamento che consenta alle persone di percepirsi nel mondo come parte – attiva, creativa e responsabile- di un tutto, secondo un rapporto di interdipendenza positiva. In poche parole: io merito, se contribuisco a… In questa prospettiva, la scuola del merito ce la potremmo figurare come un puzzle: il disegno non sarà completo, se ne mancherà anche solo un pezzettino.
Anna Rita Cancelli